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Papa Francesco e la Dittatura Argentina:

ecco la Verità sul passato di Bergoglio

Scritto da Filippo Savarese il 14 marzo 2013

 

Papa Francesco – al secolo Jorge Mario Bergoglio – ha davvero tenuto comportamenti ambigui o addirittura complici al tempo della violenta dittatura militare che si instaurò in Argentina tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso? La grave accusa è contenuta nel libro L’Isola del Silenzio (2005) del giornalista argentino Horatio Verbitsky, che si propone di scandagliare il ruolo giocato della Chiesa cattolica durante la dittatura.
Innanzitutto bisogna dire che sulla connivenza della Chiesa e in particolare di Bergoglio con il regime di quegli anni è impossibile trovare, dopo decenni di ricerche ed analisi, alcun fatto probante. L’unica accusa su cui si possa concretamente discutere è quella di una tendenziale arrendevolezza che avrebbe caratterizzato l’apparato ecclesiastico nei confronti delle giunte che si sono susseguite al potere, o comunque di una opposizione non sufficientemente convinta, almeno a livello ufficiale.
Alcuni esponenti ecclesiastici strinsero (o mantennero) rapporti effettivamente colpevoli con i diversi generali al potere, ma si trattava di rapporti personali non riconducibili alla posizione ufficiale della Chiesa, che nei contesti dittatoriali tende storicamente a mantenere il suo profilo più diplomatico per salvaguardare il maggior numero di interessi coinvolti. Sotto tutti i regimi la Chiesa cattolica ha sempre tentato di incarnare, con la sua autorità morale e spirituale davanti al popolo, un fattore depotenziante dell’assolutismo politico che negli anni del fascismo Pio XI bollò come “statolatria”.
L’episodio chiave che interesserebbe Bergoglio, e che Verbitsky riporta nella sua inchiesta, risale al 1976, quando i due giovani sacerdoti Orlando Yorio e Francisco Jalics vengono seguestrati dalle milizie dittatoriali. Secondo la ricostruzione del giornalista, che ha potuto servirsi delle opinioni in merito dello stesso Yorio, il rapimento fu reso in qualche modo possibile dall’atteggiamento precedentemente tenuto da Bergoglio nei confronti dei due preti.
Bergoglio, che allora era Provinciale Generale dei Gesuiti, avrebbe iniziato ad osteggiare l’attività svolta dai due tra le fasce più povere della società, forse temendo che propagandassero le idee rivoluzionarie connesse alla Teologia della Liberazione (la dottrina per cui è conforme al Vangelo l’opposizione anche violenta ed armata alle ingiustizie sociali), ideologia che in America Latina vede ancora oggi in Bergoglio, ora Papa Francesco, uno dei più fermi oppositori. Bergoglio si sarebbe mosso addirittura affinché i due sacerdoti fossero interdetti nella loro facoltà di dire messa.
Le presunte ostilità di Bergoglio e il presunto ritiro della sua protezione verso i due preti avrebbero quindi almeno facilitato l’operazione di sequestro da parte dell’esercito, che accusava i due compagni di attività eversiva e terroristica. La prigionia di Yorio e Jalics si protrasse per diversi mesi, finché l’insistenza del Vaticano, si dice, non convinse le autorità a chiudere la loro pratica con la liberazione.
Bergoglio ha avuto modo di respingere fermamente anche la più tiepida accusa di complicità. Nel libro-intervista col giornalista Sergio Rubin “Il Gesuita” (2010) ha risposto nuovamente a queste accuse affermando anzi di essersi da subito speso per l’immediato rilascio dei due preti, arrivando addirittura a contattare il comandante Videla, e che comunque non aveva agito in alcun modo tale da permettere, anche solo indirettamente, il grave gesto dell’esercito. Nei panni di arcivescovo di Buenos Aires ha disposto un periodo di penitenza per tutte le colpe e i mancamenti della Chiesa, che pure aveva assolto il suo compito di protezione e riparo per molti dissidenti.
Nel 2005 un avvocato ha formalmente accusato Bergoglio di violazione dei diritti umani in relazione al caso riportato, ma l’accusa è decaduta. Ancora, nel 2010 e nel 2011 Bergoglio è stato chiamato a rilasciare dichiarazioni su altri fatti accaduti durante la dittatura.
In un articolo apparso sul Corriere della Sera nell’aprile 2005 in occasione del precedente Conclave, così ebbe a scrivere di Bergoglio il giornalista ed analista politico Aldo Cazzullo:
“Nella prova terribile della dittatura militare, Bergoglio si mosse per salvare preti e laici dai torturatori, ma non ebbe parole di condanna pubblica che del resto non sarebbero state possibili se non a prezzo della vita , e tenne a freno i confratelli che reclamavano il passaggio all’ opposizione attiva. Due di loro lasciarono i gesuiti, e subito dopo furono prelevati dalla polizia politica. Un’ infamia alimentata dai nemici di Bergoglio indicò in lui l’ ispiratore del sequestro; era vero il contrario: il Provinciale andò di persona da Videla per chiedere la liberazione dei due religiosi, e agli atti della giunta militare risulta la richiesta di un passaporto per loro. La sua battaglia gli ha guadagnato la stima dei leader del movimento per i diritti umani, come Alicia de Oliveira, e il rispetto delle madri di Plaza de Mayo, durissime nei confronti della gerarchia cattolica“.
Ancor più circostanziata la ricostruzione dei giornalisti americani Brian Murphy e Michael Varren, dell’Associated Press:
“Entrambi i sacerdoti furono liberati dopo che il cardinale Bergoglio si mosse in modo straordinario dietro le quinte per salvarli. Arrivò a convincere il prete di famiglia del dittatore Jorge Videla a fingersi malato, in modo che lui stesso Bergoglio, potesse dire la messa nella casa del capo della giunta militare, dove a tu per tu con Videla invocò la grazia. Verosimilmente il suo intervento salvò le vite dei due sacerdoti, ma Bergoglio non rese mai pubblici i dettagli fino all’intervista di Rubin.
Bergoglio disse a Rubin che era solito nascondere persone in immobili di proprietà della Chiesa durante il periodo della dittatura e una volta diede i proprio documenti di identità ad un uomo che gli assomigliava, mettendolo in condizione di fuggire attraverso la frontiera”.
Bergoglio è rimasto sotto il tiro di queste accuse anche a causa delle numerose opposizioni ad alcune scelte legislative dei recenti governi di sinistra dei fratelli Kirchner, specialmente in materia di bioetica. La sua ferma ortodossia dottrinale, seppur accompagnata da una straordinaria comprensione delle necessità sociali dei più deboli, che lo rende molto popolare in patria, gli ha inviso larga parte dell’establishment socialdemocratico argentino, che ha tutto l’interesse nel farne una “vecchia guardia” dell’oscuro passato nazionale.
On-line ha cominciato ad essere diffusa una foto del dittatore Videla mentre, nel 1990, riceve l’Eucaristia da un sacerdote di spalle non identificabile ma che assomiglierebbe a Bergoglio. Come ha ammesso anche Michael Moore su twitter dopo aver partecipato alla diffusione dell’istantanea, è impossibile che il sacerdote ritratto, evidentemente anziano, fosse Bergoglio, visto che all’epoca quest’ultimo aveva appena 54 anni.
Una parola definitiva può considerarsi quella espressa poco fa da Jorge Ithurburu, leader della onlus “24Marzo”, storica parte civile nei processi contro i dittatori argentini rifugiati in Italia e da sempre voce autorevole dei parenti delle vittime della repressione in Argentina.
“Bergoglio all’epoca non era neanche vescovo e di sue responsabilità individuali non c’è traccia, è evidente che l’episodio può essere letto in due modi: i capi dei due gesuiti sono responsabili di averli lasciati soli, oppure si può pensare che gli stessi capi siano intervenuti per ottenerne la liberazione. Propenderei per la seconda ipotesi: l’Esma (il carcere di detenzione e tortura dei prigionieri politici sotto Videla/ndr) non liberava nessuno per caso. Ma nessuno nella Chiesa ammetterà mai che è stata condotta una trattativa segreta. La Chiesa non parla di queste cose. La liberazione dei due sacerdoti resta però un fatto“.
In realtà Bergoglio ha ammesso in diverse occasioni di aver personalmente contattato gli alti esponenti del regime per il rilascio dei due giovani gesuiti. Liberazione che, come dice Ithurburu, resta un fatto.
E sono i fatti che fanno la storia.

 

 

 

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