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Riflessioni di don Daniele Dal Prà sulla storia biblica di Abramo nel linguaggio delle problematiche

 

INTRODUZIONE

    Una simulazione attraverso il personaggio biblico di Abramo per cercare di approfondire un percorso su alcune tematiche relative a situazioni esistenziali, prettamente riscontrabili nella nostra società moderna.
Questa sintetica riflessione, volendo partire da una situazione familiare risalente al contesto della Sacra Scrittura, si prefigge lo scopo di avanzare ipotesi e considerazioni, da un punto di vista strettamente umano e razionale, svuotando volutamente il contenuto, da ogni considerazione teologica-esegetica.
Dopo aver presentato i testi di riferimento ed i suoi personaggi, cercheremo di analizzare e comprendere, se vi siano differenze nei vari legami relazionali ed affettivi, rivalità che possono nascere all’interno del gruppo di riferimento, fattori psicologici e culturali che possono presentarsi nelle varie richieste motivazionali.

 

TESTO BIBLICO

Genesis 15:2-6 Rispose Abram: "Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco".3 Soggiunse Abram: "Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede".  4 Ed ecco gli fu rivolta questa parola dal Signore: "Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede".5 Poi lo condusse fuori e gli disse: "Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle" e soggiunse: "Tale sarà la tua discendenza".6 Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.

Genesis 16:1-4 Sarai, moglie di Abram, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar,2 Sarai disse ad Abram: "Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli". Abram ascoltò la voce di Sarai.3 Così, al termine di dieci anni da quando Abram abitava nel paese di Canaan, Sarai, moglie di Abram, prese Agar l' egiziana, sua schiava e la diede in moglie ad Abram, suo marito.4 Egli si unì ad Agar, che restò incinta.

Genesis 16:15-16 Agar partorì ad Abram un figlio e Abram chiamò Ismaele il figlio che Agar gli aveva partorito.16 Abram aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele.


ABRAMO
AGAR            SARA
ISMAELE            ISACCO

Dal testo sopra citato, analizziamo la figura di Abramo, un personaggio maschile, avanti negli anni e senza una discendenza. Abramo sente il desiderio di avere figli, è nel contesto storico che stiamo considerando, un elemento non solo naturale, ma anche un fattore culturale: la discendenza, come un continuare ad esistere, dopo la propria morte fisica.
Un concetto ben compreso da Sara che consiglia il marito, davanti alla propria sterilità di moglie, a realizzare il suo progetto con la schiava Agar. La sua disponibilità iniziale, viene però in seguito, sopraffatta dal suo voler essere la vera moglie del marito, l’unica nel senso di preziosità, che deve essere riconosciuta maggiormente adesso, dal gesto che ella, le ha permesso nella soddisfazione del desiderio di diventare padre.
Anche alla luce della moderna psicanalisi, Freud commenterebbe che ogni padre ha in sé questo desiderio di continuare la propria discendenza, come unico sentiero all’immortalità: se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te.
Potremmo dire che Ismaele, è un figlio desiderato da un padre, Abramo, ma soddisfatto questo desiderio paterno, è costretto a lasciare la sua casa di origine insieme alla propria madre, e rifugiarsi altrove. Sembra terminare qui, il suo rapporto con la figura del padre, un rapporto iniziato e terminato su decisione di una figura femminile: quella di Sara appunto.
La prima considerazione che avanziamo, la formuliamo attraverso la seguente domanda: può un padre essere sostituito, o addirittura eliminato?
Inoltre, il primo figlio è anche quello su cui si intrattiene di più lo sguardo del genitore, quindi si sente più appesantito, ma in questo caso, questo sguardo sembra rivolgersi di più all’esperienza successiva.

Genesis 17:15-19 Dio aggiunse ad Abramo: "Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara.16 Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei".17 Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: "Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all' età di novanta anni potrà partorire?".18 Abramo disse a Dio: "Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!".19 E Dio disse: "No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui come alleanza perenne, per essere il Dio suo e della sua discendenza dopo di lui.

Infatti, la promessa esterna continua, questa volta attraverso l’iniziativa di Dio stesso, origine di ogni paternità, il quale nel promettere una situazione impossibile, perché entrambi avanti con gli anni e sterile il grembo di Sara, realizza appieno il desiderio di entrambi i genitori di avere un figlio. Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: "Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all' età di novanta anni potrà partorire?"
Isacco, è ora il figlio prescelto, sia dai genitori che da Dio, di conseguenza, Ismaele che è stato cacciato via, non è più il compagno di giochi di Isacco, facendo di entrambi dei figli unici, e le attenzioni solitamente riposte nel primo nato adesso ricadono sul secondogenito.

Genesis 21:9-10 Ma Sara vide che il figlio di Agar l' Egiziana, quello che essa aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco.10 Disse allora ad Abramo: "Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco".

Un ulteriore domanda che possiamo dedurre è: quanto la nascita di un figlio è vista solo in funzione di un rapporto di coppia, o più semplicemente di una realizzazione personale? Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei.
Nel caso di Abramo dovremmo subito concludere che per ben due volte, sia nel caso di Ismaele che di Isacco, la sua realizzazione personale ha avuto la meglio. È Sara nel primo caso, l’artefice di tutto, sia nello spingerlo ad accettare una discendenza dalla schiava, (forse da lei potrò avere figli) sia nell’indurlo a cacciarla, davanti alla sua mancanza di obbedienza; ma solo nel vedere Isacco può in senso più ampio aver realizzato anche il suo rapporto di coppia.
Vogliamo adesso, mettere in relazione questo contesto, con una qualsiasi realtà di convivenza, dove appunto un marito separandosi dalla prima moglie, inizia una seconda relazione con una donna che le dona un figlio, i quali vivono sotto lo stesso tetto. Le due madri non mantengono rapporti di alcun tipo, anzi la seconda spinge il marito ad allontanare la prima. Ismaele cresce con la sola figura materna, mentre da quella paterna ne è stata costretto l’allontanamento; differentemente da Isacco, perché con lui vivono entrambi i genitori. La stessa maturità umana richiede al momento opportuno l’allontanamento dei figli dai propri genitori, ma ben diverso è l’allontanamento che qui si manifesta: difatti si è genitori sapendo prendere parte alle necessità dei propri figli, sapersi separare da loro senza abbandonarli, essere capaci di partecipare e condividere le loro necessità in un rapporto educativo fondato sulla verità del bene per ognuno. Se questo è mancato con Ismaele, inoltre, non possiamo esimerci dal domandarci, se con Isacco siamo, invece, presenti ad un dialogo in cui si intensifica rapporto e comunicazione.
Sara ha una reazione iniziale di incredulità, la stessa scelta del nome è un destino: lo chiamerai Isacco che vuole dire risa.

Genesis 18:12 Allora Sara rise dentro di sé e disse: "Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!".
Genesis 21:6 Allora Sara disse: "Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà sorriderà di me!".

Ma proseguendo nel nostro racconto, apprendiamo come la figura materna di Sara è pressoché inesistente, mentre la relazione continua tra padre e figlio. Se il padre permette il passaggio e l’accesso al mondo simbolico, questa dimensione del simbolo che può consentire al bambino di non appartenere esclusivamente al padre o alla madre, ma di essere il frutto dell’amore, quindi un dono, può avvenire senza il contributo materno?

Genesis 22:10-12 Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio.11 Ma l' angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: "Abramo, Abramo!". Rispose: "Eccomi!".12 L' angelo disse: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio".

La storia dei nostri personaggi, tralasciando per motivi di sintesi, le figure di Agar ed Ismaele, si focalizza ora su il sacrificio richiesto ad Abramo, presentandoci la figura di un padre che si trova di fronte alla possibile separazione del figlio.
Una separazione, inerente qualsiasi genitore che per svariate ragioni si ritrova ad affrontare la morte del proprio figlio, a seguito di una malattia, di un incidente stradale, o spingendoci verso situazioni di devianza, come conseguenza estrema di abuso dovuto a droghe od alcool.
Abramo è padre che ci consente il passaggio e l’accesso dal mondo simbolico a quello potremmo dire reale, ed in questo immaginario con il reale scopriamo una linea di separazione tra la disperazione che umanamente può accompagnare una simile situazione ed i progetti che un genitore abbia riflesso sul suo discendente: un matrimonio, una carriera, un tipo di elevatezza sociale progettata, ... tutto viene così drammaticamente ridotto al nulla.
Ma quanto questi progetti potevano essere davvero la piena realizzazione e se vogliamo il vero desiderio di quel figlio, invece di quelli di un figlio fantasticato, che non appartiene, nel senso che deve realizzare tutte le potenzialità che giacciono inerti nei genitori?
Un evento quello della morte improvvisa e giovanile, che al di là del dolore conseguente alla perdita ed alla separazione, è motivo di grande approfondimento, che induce a porre l’accento su quante volte un padre, riesca a raggiungere quella maturità e libertà che non contrasti con la pienezza di vita altrui.
Un figlio, ma anche un padre convertito: in questo salire sulla montagna, infatti, è richiesto dalla concretezza della vita, la possibilità di mettere insieme il padre ideale e quello reale; nel racconto si evidenzia l’intervento esterno, in questo caso paterno, del Dio agente nella storia, in ogni storia umana, che permette ad Abramo, Sara, Isacco un rinascere grazie alla Parola.
Un intervento esterno, quindi, che permette di dare una nuova luce e di conseguenza una vitalità nuova al loro modo di essere e di rapportarsi. Un’esperienza che matura nel tempo, nonostante gli errori che ognuno possa aver commesso. È la speranza del camminare verso la maturità, che accompagna ogni essere umano, dal prendere coscienza dalla stessa quotidianità, come la Persona sia un essere relazionale, che non solo agisce, ma che può interpretare il suo stesso agire.
Allora possiamo continuare affermando che qualunque sia la situazione iniziale, sia di figlio prescelto come nel personaggio Isacco, o di figlio sintomo, o prodigo, in nessuna realtà, vengono precluse quelle braccia paterne di riscatto, manifestate proprio nella interpretazione attiva e libera, compiuta dalla storia, che Dio ha svolto con loro.
Per questioni di sintesi non possiamo soffermarci sulla considerazione se i nostri personaggi siano stati a volte uno, a volte l’altro figlio, in maniera simultanea, e nemmeno su come la loro esperienza infantile abbia inciso su le future famiglie costituite da Isacco ed Ismaele. A noi basta solo sottolineare come la loro stessa esperienza storica, immagine e prefigura di ogni esperienza umana, sia una fonte alla quale saper attingere e rinascere verso nuovi orizzonti. L’orizzonte della verità e della libertà, appunto, che si apprende dagli stessi ruoli familiari all’interno della famiglia, l’unico luogo ove l’uomo possa imparare ad essere sempre più uomo, anche attraverso le sue prove ed i suoi errori, ma comunque habitat insostituibile per la stessa crescita umana.

 

CONCLUSIONE

La volontaria eliminazione di ogni contenuto teologico ed esegetico da queste pagine, non ci impedisce però di concludere con la luce della Rivelazione che appare sull’esperienza e sulla storia di ogni uomo. Dall’esterno, da quel intervento di Dio sulla storia umana possiamo non solo di più comprendere gli interrogativi che abbiamo cercato di formulare, ma anche di trovarvi ed attingervi risposte ben delineate e profonde.
Da come Dio corregge noi, possiamo imparare a correggere i nostri figli, senza affettività isteriche e nevrotiche, e la stessa Persona umana che si presenta nella sua storicità, come esperienza vissuta, impara e matura nel suo cammino di Essere in Relazione, proprio attraverso i legami che la uniscono all’Altro.
Si vuole concludere, citando un espressione assunta da un contesto teatrale: Teresa, affermava: mio figlio è buono con Monica come volesse sostituirsi al padre mancato anche a lui e che lei invece è solo convinta di aver perduto (uno strano processo, Monica; quando sparisce dentro di noi una persona che vive ancora – sparisce perché non la tratteniamo più – e anche qualcosa di più strano; talvolta con l’immaginazione creiamo in noi una persona che non esiste. Così Cristoforo ha creato te, Andrea, così vuole ricreare Stefano e Anna, genitori di Monica).

 

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