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Maria di Magdala e la Misericordia

di Claudio Capretti

 

Cammino con cuore pesante verso il sepolcro, come chi segue un corteo funebre. Ogni lento passo conquistato verso la meta, aggiunge un peso in più al cuore, rendendo più faticoso la conquista del passo successivo. E’ come se il dolore, sommandosi di passo in passo, volesse di farmi desistere dall’andare nel luogo dove hanno messo il mio Maestro. Presto arriverà il giorno, ma la notte non è ancora finita. Un minaccioso cielo privo di stelle incombe su di me, come se volesse invadere un cuore già immerso nella tenebra. Lo guardo come a volergli dire: “Hai già riempito il mio cuore con la tua tenebra. Hai vinto, cos’altro vuoi da me?”. Neanche il pensiero  dell’imminente arrivo dell’alba, mi giova. Mi fermo un poco appoggiandomi ad un albero per riprendere un po’ di fiato e mi rivedo ancora una volta sotto la tua croce o mio Signore. L’immagine della tua sofferenza, non mi ha mai abbandonato in questi due giorni; rivedo il Tuo volto sfigurato il tuo corpo martoriato e mi perdo in quella sofferenza che ancora non comprendo e non accetto. Non un sussulto di rabbia mi assale contro i tuoi persecutori, perché da quando mi liberasti dai miei nemici, niente è più stato come prima. Un dolore assale il mio cuore ripensando al Tuo dolore, a quello della tua amatissima Madre, raggiunta anche lei da un dolore immane,come trafitta da una spada invisibile. So già cosa mi troverò davanti stamane, una pietra posta come sigillo sulla tua tomba, sentinelle poste a vegliare un morto, per paura di cosa poi, non lo capisco davvero. Mi aiuteranno a rimuovere la pietra? Si muoveranno a pietà? Mi permetteranno di ungere con gli aromi il corpo del mio Signore?   Lo sconforto mi dice di no, che sarà un viaggio inutile, che non serve a niente questo peregrinare. Ma conosco bene quella voce, so da chi giunge e non la ascolto. La mia mano abbandona l’appoggio di quel tronco, dando una leggera spinta a me stessa per riprendere il mio cammino. Mi avvicino sempre di più al giardino dove è collocato il sepolcro, credevo di sentire da lontano i rumori dei militari, ed invece mi accorgo che  un irreale silenzio sovrasta su quel luogo.
Dinnanzi al sepolcro il respiro si ferma, le mani lasciano cadere a terra gli aromi, il profumo che si alza da terra si diffonde nell’aria e svanisce in un istante, ma niente mi fa distogliere lo sguardo sull’impensabile. La pietra è stata tolta dal sepolcro, giace a terra e nessuna sentinella è presente. La mia mano, che in un primo istante si era portata sulla bocca per soffocare un grido, si sposta ora sul cuore, come se volesse attenuarne un battito oramai incontrollabile. Come se volesse proteggerlo dal dolore di aver perso il mio Signore per la seconda volta. Perso una prima volta da vivo su una croce, ed ora, una seconda volta da morto in quel giardino.  Quel sepolcro non avrebbe dovuto custodirne il Suo corpo? Chi lo aveva rubato?  Una corsa quasi isterica si impossessa di me, noto a malapena il cielo che si lascia squarciare dalla luce che sembra quasi rincorrermi mentre corro verso casa.   “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto”.  Sono la causa di un trambusto che non avrei voluto suscitare, irrompo nella sala a infrangere un lutto ormai rassegnato. Nessuno riesce a farsi una ragione dell’accaduto, Simon Pietro, scuotendomi le spalle per calmarmi mi scruta con gli occhi come a volermi dire: “Donna, sei sicura di quello che dici?”.  Vedo che esce in fretta seguito da Giovanni, forse andranno ad accertarsi del vero, devono avermi creduto. Mentre rispondo alle domande ripetendo più volte ciò che ho visto, capisco che devo ritornare al sepolcro. Ora che sono di nuovo davanti ad esso, avverto in me tutto il peso dell’inutilità di quel viaggio. Prima avevo la certezza che quel sepolcro custodiva il corpo del mio Signore, ora non ho più neanche quella. All’esterno lo sconforto mi assale, gli occhi che cercavano il mio Maestro si riempiono di lacrime, non so ancora perché rimango ancorata al sepolcro; gli apostoli vedendolo  vuoto saranno ritornati a casa, non dovrei fare altrettanto anch’io?. Devo guardare quella tomba vuota, devo accertarmi che sia vero. Due figure in bianche vesti sedute all’inizio e alla fine della tomba  mi dicono: “Donna perché piangi?” . Non avverto nessuna paura, e posso dire loro che:  “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto”.  Ora è un’altra voce che mi raggiunge alle spalle, “Donna perché piangi? Chi cerchi?” .  Deve essere il guardiano, forse è stato lui a portare via il corpo del Maestro, lo chiamerò signore per riavere il mio Signore,  darò a lui ciò che vuole: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”.  Resto immobile fissando quella tomba vuota, con le spalle al giardiniere, in attesa di una risposta che finalmente giunge. “Maria”,  il mio nome risuona in quel sepolcro, e ricordo da quale sepolcro sono stata tratta, riconosco in quella voce, la voce di Colui che mi ha risollevato dal fango della mia palude. Si, ne sono certa, è il mio Signore. Mi volto verso di Lui, una luce  invade il sepolcro, la più remota tenebra è fuggita via e un profumo di Cielo, di eternità, invade quel luogo.
“Rabbunì” è tutto quello che riesco a dire, e solo ora comprendo che dovevo perderti o mio Signore, perderti per due volte per ritrovarti di nuovo, per sempre. Un’intuizione mi assale, quella che dopo essere stata messaggera di una tomba vuota, della disgrazia sulla disgrazia, forse ora dovrò esserlo della Tua resurrezione, se così dovesse essere, la mia corsa sarà la corsa leggera come di chi deve annunciare una gran vittoria.  Solo ora appare chiaro che quella morte che trascinavo con me stamane nella mia anima, non ha più potere, non ha avuto l’ultima parola su di Te mio Signore, non l’avrà mai più su nessuno di noi. Quelle sentinelle che erano a guardia delle mie paure, che mi avrebbero impedito di avvicinarmi a Te, anche loro si sono dissolte. Tu, mio Signore, sei risorto da morte, da oggi  tutto  è possibile. Se le pietre del Golgota sono state testimoni della trionfo del male, dell’odio, dello scherno, della violenza, delle solite logiche di potere, oggi, queste pietre sono testimoni della vittoria dell’amore, della non violenza. Oggi a vincere è la debolezza, non la forza.  La disgrazia non è capitata a Te, mio Signore, ma alla morte, a colei che sembrava essere la padrona assoluta, la dominatrice incontrastata da sempre, abituata ad avere l’ultima parola sulle nostre vite. Tu l’hai vinta, Tu duellando con essa, hai ucciso ciò che ci uccideva, la morte. Vorrei trattenerti con me per sempre mio Signore…: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.     

 

 

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