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Zaccheo e la Misericordia.

di Claudio Capretti

Salire su questo sicomoro è stato facile, anche per uno di bassa statura come me. E’ il posto ideale per vedere e non essere visto; nascosto tra il fogliame e i suoi frutti chi noterebbe la mia presenza? C’è un gran via vai oggi per le strade di Gerico, tutti vogliono vedere Gesù di Nazareth la sua fama di grande profeta è giunta fino a noi. Rammento, che la prima persona ad avermene parlato è stato il mio amico d’infanzia, Geremia, l’unico che mi sia rimasto. Quando lo incontravo, dopo i soliti convenevoli, lo aggiornavo di volta in volta sull’inventario dei miei averi.  Mi aspettavo commenti di ammirazione, invece  lui non faceva altro che ripetermi sempre la stessa affermazione: “Bene Zaccheo, chissà allora come sarai felice”.  No che non lo ero e lui lo sapeva benissimo, per questo me lo diceva. Quella battuta mi infastidiva, a malapena la tolleravo. Come osava provocarmi in quel modo? Anche se suo amico ero pur sempre un ufficiale dell’Impero Romano preposto alla riscossione dei tributi. La sua abilità nel cambiare discorso al momento opportuno era formidabile, e trovava sempre argomenti per distogliermi, seppur momentaneamente, dall’amarezza di quella battuta. Tra i suoi argomenti, c’erano quelli che riguardavano appunto il  Nazareno. Mi diceva un’infinità di cose sul suo conto e ne  parlava in un modo sempre più entusiasta; era palese che fosse un suo ammiratore. Tornandomene a casa, quelle notizie su Gesù affollavano non poco la mia mente. Non mi davo una spiegazione logica ai miracoli che faceva o di quello che diceva. Alcuni affermavano che era il Messia tanto atteso, e a darne prova erano i suoi numerosi prodigi. Dicevano di Lui che parlava con un linguaggio comprensibile a tutti. Parlava inoltre, dell’imminenza di un nuovo Regno. Se era vero, allora l’Impero Romano sarebbe crollato e di conseguenza i conquistatori avrebbero dovuto abbandonare questo lembo di terra considerato da loro  poco più di una colonia. Un dubbio mi assalì; rischiavo dunque di rimanere disoccupato? Era giunto il momento di raccogliere tutti i miei averi e di fuggire, magari a Roma? Altre cose invece mi tranquillizzavano, anzi mi piacevano; come il fatto che non disdegnava la compagnia di peccatori, diceva di essere venuto per loro. Chissà come l’avevano presa i farisei….    I miei informatori mi avevano addirittura detto che oltre a quel manipolo di pescatori che aveva radunato attorno a se, c’era anche un certo Matteo, un ex pubblicano ed ora un mio ex collega. La gente inizia a radunarsi sotto questo albero, segno che tra poco dovrebbe passare il Nazareno. Se mi vedessero, sai le risate? Il capo dei pubblicani, uomo immensamente ricco, che se ne sta appollaiato su di un albero. Per conquistare quello che volevo, mi sono sempre dovuto mettere sopra qualcosa, sopra i miei averi, sopra la mia autorità, ed ora, per veder passare il Nazareno, su quest’ albero. La gente mi obbediva mi temeva, ma per loro non ero che un rinnegato avendo prestato giuramento a Cesare. Percepivo il  Dio di Abramo, il Dio dei miei padri, lontano dalla mia vita. Io ero lontano dalla Sua? Chi lo sa. Di sicuro, gli ultimi anni li ho trascorsi dedicandomi ad un altro dio, il denaro, con la speranza che mi desse in cambio felicità e libertà. Finora non ho avuto né l’una né l’altra. Le voci iniziano a farsi più forti, forse da lontano avranno intravisto il Nazareno. Speriamo sia vero, non ho più l’età per starmene arrampicato su questo albero, anche se la curiosità o il desiderio di guardarLo hanno avuto la meglio. Appena sarà passato farò bene a tornarmene ai miei affari, devo anche riposare. Mah, patetico che non sono altro, ho trascorso l’intera notte sveglio a capire se assecondare questa curiosità oppure no. Una parte di me non faceva altro che ripetere: “Che cosa vuoi da me Gesù di Nazareth, che ho che fare con te, sei forse venuto per rovinarmi?”.  L’altra, quella che trovandomi qui ha avuto la meglio, senza darmi una spiegazione razionale sentiva la necessità di doverLo vedere.  Era come se qualcosa in me si stesse risvegliando, un grido silenzioso che reclamava la presenza di Qualcuno a cui apparteneva. Alla fine eccomi qua. Era da bambino che non salivo su di un sicomoro, ero ghiotto dei suoi frutti, mia madre diceva che ero come il frutto di quest’albero, per renderlo gustoso deve essere inciso e farne uscire l’amaro succo, solo allora poteva essere mangiato. Non ho mai avuto idea di cosa avesse voluto dirmi, con quel paragone….  “ Zaccheo, scendi presto, perché oggi devo fermarmi a casa tua” . Quella voce giunge come uno squillo di tromba, forte, inaspettata, s’impone su questo mio cuore addormentato  insensibile a tutto, e lo trafigge come solo una spada a due tagli riesce a fare. Inciso nel mio più profondo intimo. Improvvisamente un senso di vertigine si impossessa di me, barcollo un poco come un ubriaco, ma non di vino, che sia gioia?.  In un istante guardo la mia vita passata ed è come se non mi appartiene più, ed è come se dal più profondo degli abissi ne vengo risollevato. No, non devo cedere alla tentazione di guardare indietro, di guardare quello che sono stato, il male reclama sempre con forza e con ogni mezzo coloro che gli sfuggono. Di colpo mi viene in mente la moglie di Lot, divenuta statua di sale per essersi voltata indietro per aver voluto guardare la distruzione di Sodoma e Gomorra.  Non so come, ma capisco che non devo abbassare lo sguardo su di Lui, non per sfida, ma solo per necessità, devo, voglio guardarLo.  Chi è mai Costui che è più intimo alla mia anima di me stesso, che la invade come un trionfatore? Chi è mai Costui che avanzando con la Sua Parola, con la Sua mano tesa, con il Suo sguardo fa retrocedere i miei carcerieri? Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono e non trovo parole da proferire, mi basta la Tua. Lo precedo un poco per indicargli la mia casa, farfugliando qualcosa che un nodo in gola rende appena percepibile perfino alle mie orecchie. Gli spalanco le porte della mia casa, i miei servi capiscono senza ch’io parli, imbandiscono un banchetto, la sala si riempie di commensali. “E’ andato ad alloggiare da un peccatore!” , ascolto a malapena l’indignazione di qualcuno. Si, è vero sono un peccatore, ma ora sono dinnanzi a Lui, e tutta la mia vita passata ad accumulare denari o pezzi di inutilità, sembra sia cosa passata. Crollati, in pochi minuti tutti i miei progetti di una vita  errata sono crollati, come secoli fa crollarono le mura della mia città.  “Ecco Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno restituirò quattro volte tanto” . Sono le prime parole che escono dalla mia bocca, che riesco a pronunciare in modo chiaro, e suonano come il grido dello schiavo che viene liberato dalle sue catene.  Lo guardo, mi sorride. Ricominciare, per la prima volta nella mia vita, azzerare tutto e ricominciare da Lui, per Lui, e grazie a Lui. Poi, la Sua voce risuona ancora una volta nella sala, forte, ed è il sigillo della mia liberazione: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.         

 

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