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Tommaso  e la Misericordia
(Gv 20,24-29)

di Claudio Capretti

 

“Abbiamo visto il Signore!”. Sono le prime parole con cui mi accolgono i discepoli  appena mi vedono. Lo stupore e la gioia li invade interamente e forse, con ansia mi aspettavano per  annunciarmelo.  Il rumore dei pensieri che si alternano nella mia mente mi stordisce, mi confonde, ma infine lascio che a prevalere in me sia  la convinzione che il dolore di aver perso il Maestro, li abbia sconvolti così tanto da far  perdere la ragione ad ognuno di loro. Oppure di essere vittime di una irreale visione. Molti di loro li conosco ancor prima di incontrare il Cristo, e in cuor mio so che non stanno mentendo. Ma come posso credere a ciò che mi dicono?. No, vorrei poter credere  ma non posso, non riesco, né voglio fingere di farlo. Li osservo, capisco che sono in attesa di una mia risposta, forse desiderano che mi lasci travolgere dal loro entusiasmo, che gioisca con loro, ma, altro non posso dire che: “ Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”. La delusione tinge i loro volti, con dolore mi discosto da loro fissandoli un’ultima volta dall’uscio di casa  prima di andar via. Ritorno a vagare per le vie di Gerusalemme ripercorrendo la strada fatta già diverse volte in questi giorni, quella che porta nel luogo dove hanno ti hanno crocifisso.
 Da lontano, forse per paura di essere riconosciuto come tuo discepolo, guardo il Golgota, rivivo ogni momento della Tua immane sofferenza, una sofferenza dinnanzi alla quale siamo tutti fuggiti ad eccezione di Giovanni, di Tua madre, e di alcune donne.  Anch’io, non essendo migliore degli altri sono fuggito via, lontano dal tuo soffrire. Avrei voluto essere tuo Didimo, cioè tuo gemello, rimanerTi accanto fino alla fine, condividere con Te tutte le umiliazioni fino a salire sulla croce, ma non ci sono riuscito. Perdonami rabbunì, perché sembravo di essere quello che nella sua impetuosità non ti avrebbe mai abbandonato.  Mi sopraggiunge alla memoria quando stavi per andare a Betania, luogo dove giaceva Lazzaro oramai morto da tre giorni. Molti di noi non volevano che tu andassi per paura che ti facessero del male. Ricordo, che qualcosa mi spinse a dire agli altri: “Andiamo anche noi a morire con lui” .  Non ti lasciammo solo o Maestro buono, e in quella circostanza fummo testimoni del soprannaturale. Lazzaro che uscì su tuo comando dal sepolcro dove giaceva da tre giorni, e noi su tuo ordine a togliergli quelle bende che gli impedivano di camminare. Non avevi bisogno di noi, sarebbe bastata la tua Parola per farlo uscire senza bende, eppure, ordinasti a noi di farlo. Pur non avendo bisogno di noi chiedesti il nostro aiuto, che era poi ben poca cosa in confronto a ciò che operasti. Mi sento in questo momento come il tuo amico Lazzaro, avvolto dalle bende della mia incredulità. Come vorrei essere liberato da queste bende, come vorrei credere a coloro che insieme a me hanno vissuto questi ultimi tre anni della mia vita, una vita che ora sembra essersi fermata dinnanzi ad un muro, quello della Tua morte in croce. Eppure, in Lazzaro Tu vincesti sulla sua morte, perché allora mi rimane così difficile credere che Tu non abbia vinto la tua morte?  Riprendo il mio girovagare per le strade di Gerusalemme senza una ben precisa meta, con i pensieri che vorticosamente si susseguono nella mia mente. Se è vero che hanno visto il Maestro risorto, perché sono rimasti chiusi nella casa, perché non sono usciti fuori a dirlo a tutti?  Senza volerlo, mi ritrovo dinnanzi al luogo dove celebrammo l’ultima  pasqua. E il ricordo di quel giorno torna a rivivere in me. Tutti noi avemmo la sensazione che qualcosa di grande e di incomprensibile stava per accadere. Ricordo così bene quelle Tue Parole, così potenti da farci sentire una cosa sola con Te, pur annunciando un congedo che sembrava imminente. Tu stesso dicesti: ”Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via”.    Dove saresti andato, rabbunì? Di quale via parlavi, davvero non lo capivo sono solo un pescatore e Tu questo lo sai bene, per questo nella mia incomprensione ti chiesi: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”.  Fu questo mio non capire che ti diede lo spunto per dirci chi eri: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Credo di aver perso questa via, credo di averTi perso una prima volta nei labirinti del mio dolore, ed ora una seconda in quello dei miei dubbi. Ma non è facile ora credere a ciò che non vedo, a ciò che non tocco con mano. Ho comunque bisogno di Te Gesù, se Tu non ci sei più mi sono rimasti coloro che insieme a me ti hanno seguito, coloro da cui mi sono separato spiritualmente dopo la tua morte ancor prima di farlo materialmente. Voglio tornare a stare con loro. Tempo fa non dicesti:”Dove due o più sono riuniti nel mio nome, la sarò anch’io”? . E’ da loro che devo dunque ritornare, stare con loro, ricordarTi con loro. Mi riaccolgono senza una parola di rimprovero, bonariamente Pietro mi viene incontro, mi abbraccia con forza e tenerezza. Un suono misto a pianto e riso esce dalla sua bocca, sento che è felice, lo sono tutti. E qualcosa nel mio cuore si scioglie, ed è bello. Deve essere questo, ciò che provò il figliol prodigo quando fece ritorno nella casa di suo padre. Manchi solo Tu, Gesù.  
“Pace a voi”. Ti  manifesti avvolto di luce, entri nella stanza a porte chiuse e niente si oppone al tuo passaggio. Oltrepassi i muri della mia incredulità e sei ora in mezzo a noi, non come un fantasma, ma vivo, reale, con impresse sul tuo corpo le piaghe della Tua passione, mani forate per sanare le piaghe dei mie dubbi. Il cuore batte forte, vorrebbe esplodere per la gioia nel vederTi risorto, ma il ricordo di non aver creduto glielo  impedisce. Oso appena guardarTi, mentre la  Tua divinità si china sulla mia umanità ferita dal mio dubitare e mi dici:”Metti il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere più incredulo, ma credente”. Sei dunque Tu che la morte non ha ingoiato, sei Tu che l’hai vinta e che ora sei di nuovo in mezzo a noi. Sei Tu che vittorioso torni a consolarci, a custodirci con quella tenerezza che da sempre ti precede. Certa era la Parola del profeta Isaia, quando proclamava:” Come una madre consola un figlio, così io vi darò consolazione; in Gerusalemme sarete consolati”. Ancora frastornato guardo il tuo corpo e contemplo Te che sei Dio e con fede il mio cuore proclama:“Mio Signore e mio Dio”, altro non ho da dirti se non questo. Come un errante ho vagato per le vie della mia incredulità fino a separarmi da coloro che  hai chiamato a seguirTi, ma ora, non ci sono altre parole da aggiungere se non: “Mio Signore e mio Dio”,  e ripeterle  infinite volte ancora senza mai saziarmi perché nella Tua resurrezione celebro oggi anche la mia. Le sentinelle del dubbio erano a guardia del sepolcro della mia incredulità, oscura era la notte che mi avvolgeva, ma Tu, Luce che rischiari ogni remoto angolo del mio cuore, vieni a me e le disperdi.  Non posso non esultare, perché oggi entri di nuovo nella mia vita, mostrandomi che è la Tua resurrezione a trasformare la mia vita, la vita di tutti noi. Ti rendi manifesto in mezzo a noi, affinché possa sigillarsi in me ciò che da sempre Tu sei: la mia unica mia Via, la mia unica mia Verità, la mia unica mia Vita. Nella Tua infinita misericordia, perdonami o Signore per i miei dubbi, perdonami per essere caduto nella rete della mia poca fede. Eccomi a Te o Signore, in tutta la mia pochezza, avrei voluto fare mia ogni tuo dolore, proprio come avrebbe fatto un gemello, ma senza riuscirci. Concedimi allora di essere  gemello per coloro che  nella loro vita saranno catturati dal dubbio, affinché guardando me non si scoraggino, ma riescano ad andare oltre, attraccando la loro nave a Te, felice porto di destinazione e fine ultimo di tutte le cose. Mi guardi con infinito amore, e intuisco che stai per dire qualcosa che rimarrà per sempre. “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”.

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