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Il lebbroso  e la Misericordia.
(Lc 5,12-16).

di Claudio Capretti

 

“Immondo, immondo”,  con la voce strozzata poco distante dalle mura della città, inizio ad urlare ciò che sono. Costretto a farlo per avvisare che un futuro cadavere o un simbolo ambulante del male, sta per varcare le porte della loro città, che calpesterà le loro strade, che passerà accanto alle loro case  per elemosinare qualcosa.
“Immondo, immondo”,  ripeto nel mio avanzare, provato nella peggiore delle sofferenze, la lebbra.
Con il capo scoperto, le vesti strappate e la barba coperta come impone la Legge, avanzo per  i vicoli della città.  Intravedo la gente che si allontana da me che prendono in braccio i loro figli e scappano.  
Il rumore delle imposte e delle porte che si chiudono ancor prima ch’io mi accosti ad esse, precede il mio passaggio. Solo questo mi è concesso dalla gente di questo villaggio, non tutti giorni e solo  il tempo necessario per elemosinare qualcosa.  
Ho imparato a comprendere la paura e l’indifferenza di questa gente. Paura di essere contagiate oppure sfiorate divenendo a loro volta impure come me. Ma in altri momenti sono così prostrato dal mio dolore, dalla mia solitudine, che vorrei dire ad ognuno di loro, in modo particolare a chi mi deride: ” La mia lebbra è quella che vedi, ma tu sei mondo? Di quale lebbra è avvolto il tuo cuore?  Io non difendo la mia lebbra, ma  tu perché  difendi e nascondi la tua puntando il tuo dito su di me?”. Ma qualora riuscissi a dirlo, mi ascolterebbero?  E se lo facessero servirebbe a qualcosa?.  
Riprendo il mio avanzare ripetendo sempre: “Immondo, immondo”,  tenendo stretto il mio bastone con una mano e  una ciotola nell’altra per mendicare cibo. Perché Signore hai permesso questo nella mia vita? Dove eri quando il male mi prese con se?  Dove sei in questo preciso istante?  Non sono anch’io una tua creatura? Di quale colpa si è macchiata la mia anima per meritare tutto questo?  La mia carne non è forse intrisa di anima e umida di Te come quella di ogni altro tuo essere umano?  Ti parlo e non rispondi, grido di notte e non c’è rifugio per me; può  un silenzio essere più assordante di questo?   Con l’imbrunire torno in mezzo a coloro che sono come me, degli esclusi dalla comunità. Seduto a terra guardo il male che instancabilmente scava la mia pelle impadronendosi oggi più di ieri del mio corpo. Gli occhi si inumidiscono di dolore, li alzo verso il cielo come a voler richiamare la tua attenzione su di me. Chino sul mio giaciglio prima che il sonno sopraggiunga il pensiero va a Te, Gesù di Nazaret. Da qualche tempo la tua fama ti precede di villaggio in villaggio, le belle notizie che si dicono di Te sono giunte persino in mezzo a noi, poveri reietti.
Dicono che con il dito di Dio Tu scacci  i demoni, che restituisci la vista a chi l’ha perduta, che i zoppi riprendono a camminare e addirittura che i morti al tuo comando tornano a vivere. Ma la cosa più bella che mi piace ricordare è che non disdegni la vicinanza degli gli impuri. Sarà vero quello che si dice di Te?  Non riesco ad immaginare le tue fattezze ma di certo una persona che compie così tanto bene, deve essere bella nel volto  perché bella nell’anima. So che domani Tu passerai per questa città che sicuramente compirai altri prodigi, come quelli che hai  compiuto in altri luoghi dove sei passato.
Se Tu riesci a compiere tutto ciò è segno che nulla ti è impossibile, che riuscirai anche a guarirmi, se lo vorrai, dalla lebbra che mi sta uccidendo.
Entro di buon mattino in città, come un ladro mi nascondo in attesa che Tu passi per questa strada.  Guardo la mia carne assediata da questo immondo male e sembra dirmi che non c’è speranza per me, eppure voglio credere il contrario e continuare a sperare.  Riaffiora nel mio cuore le parole di un salmo che mai mi hanno abbandonato in questi anni e che mi ha preservato dalla  disperazione. Infinite volte  ho parlato a Te con le tue Parole dicendoti: “Ho sperato , ho sperato nel Signore ed egli su di me si è chinato”.  Come vorrei che questa Parola divenisse carne nella mia vita, che questo mio confidare in Te non sia vano. Oggi Signore te ne prego, chinati anche su di me.  
Eccoti Signore, ti guardo accerchiato dalla folla, ognuno di loro ha qualcosa da dirti, ognuno di loro ha un dolore da consegnarti e Tu, sembri mostrare attenzione per ognuno di loro.  Ti rivolgi a loro come creature uniche, preziose ai tuoi occhi. Anch’io Signore sono tua creatura e avanzo verso di Te come un assetato che trova in Te la sorgente di acqua viva, che corre ad essa per dissetarsi. Non faccio caso alle bende che venendoti incontro cadono dal mio corpo rendendo ancor più  manifesto il mio essere immondo. Avanzo verso di Te, fissando lo sguardo solo in Te. Io impuro che oso costringere il Puro a posare il suo sguardo su di me. Ti mostro le piaghe che porto impresse nella mia carne, a Te rimetto ogni mia angoscia, mi prostro ai tuoi piedi  e non esito a dirti: ”Signore se tu vuoi,  puoi purificarmi”.  Come un corridore che dopo aver ultimato la sua corsa varca ansimante il suo traguardo, così è la sensazione che ora mi possiede. Sono a dinnanzi a Te Signore, sul mio corpo è impressa la mia schiavitù e solo Tu, Gesù di Nazaret,  se lo vuoi, puoi restituirmi la libertà.
Mi guardi, forse un fremito di sdegno attraversa il tuo Spirito, sdegno nei confronti di un male che invade la vita di una delle tue creature, sdegno che si trasforma in compassione per la mia vita.
Ti chini su di me, non temi di avvicinarti di toccare la mia carne malata.
Mio Signore, da quanto tempo una creatura non mi tocca  per paura di essere resa immonda e Tu invece non ti limiti a guardarmi o parlarli da lontano, ti fai mio prossimo, attraversi ogni barriera e vai oltre ogni precetto. Questa mia impurità non è per Te luogo di separazione, ma vuoto da riempire con la tua presenza.  Già questo benefica il mio cuore, già questo tuo com-patire con me spezza ogni mia solitudine. Si, da ora non sarò più solo. Tra lo stupore generale è ora è la tua voce a librarsi nell’aria: “Lo voglio, sii purificato” .   Al tuo comando la lebbra abbandona il mio corpo, i solchi delle ferite si richiudono, guardo le mie mani tornare ad essere come erano un tempo.
E solo ora comprendo che ogni cosa nella vita ha il suo tempo. C’è stato il tempo del dolore, ora è giunto il tempo della guarigione e solo Tu divino taumaturgo, potevi compiere questa guarigione.  
C’è stato il tempo del silenzio della vergogna ora è giunto il tempo infrangere sia l’una che l’altra e Tu Signore, poni sulle mie labbra un nuovo canto. Sono venuto a Te piangendo portando il peso della mia impurità e del mio essere un escluso, un emarginato, ed ora invece torno cantando.  
Gli occhi si posano senza sosta tra me e Te, che sei venuto a liberarmi, che hai bruciato e consumato ogni mio male per forgiare una vita nuova. Come non renderti grazie Anima della mia anima, come non gridare al mondo che sei Tu il Messia così tanto atteso da Israele.  Sei Tu il mio Signore che  rivestito di umiltà vieni a noi e con la potenza del tuo sguardo, del tuo tocco e della tua Parola ci liberi da ogni male. Chi è grande come Te o Signore, al cui comando indietreggia ogni nostro nemico, ogni nostra sofferenza, che cinto di grazia vieni in mezzo a noi per riversare l’olio profumato del tuo amore, prendendo su di Te la puzza del mio male.
Mi guardi e mi dici di non parlarne con nessuno ma non ne capisco il perché.   Come farò a tenere nascosta una simile gioia, perdonami Signore, non potrò non gridare al mondo ciò che oggi hai operato nella mia vita. I pensieri si fermano, toccandomi ancora una volta mi fissi, sento che stai leggendo nel mio cuore la mia gratitudine, e amandomi mi comandi:  “Va invece a mostrarti al sacerdote e fa l’offerta per la tua purificazione, come Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro”.

 

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