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Tanti, ma tanti, contro le mariage pour tous

di Antonio Sanfrancesco

 

Ma che cosa sta succedendo in Francia? Nella patria di Voltaire e dell’Illuminismo sono forse diventati tutti clericali? Al ritmo di una volta al mese, infatti, il movimento del Manif pour tous (Manifestazione per tutti) invade pacificamente Parigi per protestare contro la legge voluta dal governo socialista di Françoise Hollande e approvata definitivamente il 23 aprile scorso che autorizza il matrimonio e le adozioni per le coppie dello stesso sesso. L’ultima manifestazione, con quasi un milione di persone, si è svolta domenica 26 maggio.

Nell’autunno scorso, tra il silenzio generale, il primo a lanciare il guanto di sfida nei confronti di Hollande e del ministro della Giustizia Christiane Taubira, firmataria della proposta di legge sul Mariage pour tous, era stato il cardinale di Parigi André Vingt-Trois. «Noi non tocchiamo la Bibbia», disse Taubira. «Neanche noi. La posta in gioco è una riforma di civiltà e riguarda l’uomo in quanto tale. E questo basta», aveva risposto il cardinale.
Sembrava la solita battaglia di retroguardia, da clericali fissati e un po’ retrogradi che sui “diritti civili” si lasciano ancora influenzare da quel che dice il Papa e la Chiesa di Roma. Eppure da quel momento sono cominciate le sorprese. Al cardinale si sono aggiunti in tanti: associazioni gay anzitutto, ma anche agnostici, ebrei, musulmani, atei, leader di altre religioni, ex ministri socialisti, associazioni femministe, filosofi, giuristi, psicologi, psicanalisti, semplici cittadini. Tutte persone che con la Chiesa cattolica non hanno nulla a che vedere. Molti non sono neanche credenti. Ad accomunarli c’è il fatto che considerano un grave errore estendere il matrimonio agli omosessuali e lo stravolgimento del diritto di famiglia con l’abolizione dei termini “padre” e “madre”, sostituiti da “genitore 1” e “genitore 2”. E, cosa ancora più grave, il fatto di approvare una legge così delicata che stravolge la natura stessa dell’uomo, la differenza sessuale e il concetto di generare senza ricorrere a un referendum popolare.
Tra tutte le adesioni quella che più ha destato sorpresa è stata proprio quella degli omosessuali. Ma come? I soliti maître à penser progressisti non ci avevano forse detto che chi protesta contro le nozze gay è reazionario, oscurantista e addirittura omofobo? Smentiti.
Migliaia di gay francesi, infatti, di sposarsi e adottare figli non vogliono proprio saperne e per farsi sentire si sono organizzati in due associazioni: Homovox e Plus gay sans mariage, fondato dall’ateo Xavier Bongibault. «È importante capire», ha spiegato Nathalie de Williencourt, portavoce di Homovox, «che in Francia nella legge non ci sono distinzioni tra il matrimonio e l’adozione: tutte le coppie sposate hanno il diritto di adottare. Quando si propone il matrimonio per gli omosessuali, esso comprende automaticamente l’adozione. Non c’è divisione come in altri Paesi europei. Noi crediamo che i bambini abbiano il diritto ad avere un padre e una madre, possibilmente biologici, che possibilmente si amino. Un figlio nasce dal frutto dell’amore di suo padre e di sua madre e ha il diritto di conoscerli».
Williencourt dice con assoluta onestà intellettuale quel che molti progressisti sempre attenti a demonizzare chi non la pensa come loro tacciono. Che dire no al matrimonio gay non significa opporsi alla regolamentazione giuridica delle coppie, anche dello stesso sesso, che vivono insieme. In Francia, infatti, una legge del genere c’è già. Sono i Pacs (Patti civili di solidarietà), firmati nel 1999 dall’allora primo ministro Lionel Jospin, che offrono la possibilità di lasciare eredità al partner, il vincolo a interpellare il partner da parte dei medici in caso di malattia dell’altro, la pensione di reversibilità, la possibilità di subentro nell’affitto dell’abitazione.
Jean Pierre, che ha aderito a Homovox, è intervenuto per offrire la sua testimonianza anche alla Manif pour tous del 5 maggio scorso. «Sono omosessuale», ha detto, «e ho una vita di coppia in regime di Pacs. Sono qui perché ogni bambino ha diritto ad avere un padre e una madre. Perché non voglio che le donne siano ridotte a macchine per produrre figli per coppie di uomini. Perché non voglio che i figli dell’eterologa passino la vita alla disperata ricerca delle loro radici. Non ogni amore è fatto per il matrimonio. È l’amore incarnato nella differenza dei sessi che fa il matrimonio. Grazie, a nome degli omosessuali, per essere qui a difendere il reale!».
Con la Chiesa e contro la “riforma di civiltà” si è schierato il Gran Rabbino di Parigi Gilles Bernheim, il presidente del Consiglio francese del culto musulmano Mohammed Moussaoui, Frigide Barjot, portavoce del “Collectif pour l’humanité durable”, la socialista Laurence Tcheng, dell’associazione “La gauche pour la mariage républicaine”.
Durissimo anche il Consiglio di Stato francese che ha dato un parere tecnico negativo sulla legge: «La filiazione», ha scritto, «è un elemento di identificazione per ciascun individuo sul piano biologico, sociale e giuridico. Lo stato civile ricostruito in questo modo evidenzierà, nel caso di coppie omosessuali, la finzione giuridica sulla quale riposa questa filiazione». Se un bimbo viene adottato da una coppia omosessuale, dopo magari aver fatto ricorso alla fecondazione artificiale o all’utero in affitto, non si potrà certo dire che quel figlio discende da loro.
Sulla stessa linea anche la filosofa femminista Sylviane Agacinski, moglie dell’ex premier socialista protestante Lionel Jospin. Permettere alle coppie gay di adottare o ricorrere alla fecondazione assistita per avere un figlio implica, secondo la studiosa, «una finzione di concepimento desessualizzato che non è verosimile. Rischia di imporre il diritto di occultare l’altro sesso nel concepimento di questi bambini e di impedire loro di avere accesso alla propria reale origine». Bambini che «non sono rappresentati politicamente ma dei quali si devono difendere i diritti».
Riprendendo il pensiero di Monette Vacquin e Jean-Pierre Winter, due psicanalisti francesi, la storica Lucetta Scaraffia ha scritto su L’Osservatore Romano: «Nella legalizzazione del matrimonio per gli omosessuali non si vede, come rivendicano in tanti, un allargamento dei diritti umani a una minoranza oppressa, quanto piuttosto una riedizione delle utopie del Novecento già rivelatesi fallimentari: quella dell’ugualitarismo, che qui sembra voler cancellare la differenza costitutiva dell’umanità in maschi e femmine, e quella della liberazione da ogni intralcio nella realizzazione dei nostri desideri, se pure impossibili».
Il dibattito è destinato a continuare. Le polemiche anche. Ma una cosa è certa: il caso francese è diverso da tutti gli altri perché per la prima volta da molti anni si è affermata una protesta trasversale, non confessionale ma antropologica e umanistica. A guidarla nell’arena del dibattito pubblico quella Chiesa cattolica che solo qualche anno fa veniva data per spacciata e di cui molti sociologi avevano decretato l’estromissione definitiva dalla cultura laica dominante.
«Il fatto che tanti non credenti condividono la stessa posizione antropologica del mondo cattolico dimostra che, come ci insegna il beato John Henry Newman, la Chiesa difendendo la cultura cattolica salvaguarda la cultura “tout court”», ha detto il cardinale francese Paul Poupard. Che sia davvero questo il motivo di una mobilitazione così trasversale?

 

 

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