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La donna curva e la Misericordia
 (Lc 13,10-17)

di Claudio Capretti

 

“Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre”.
Curva, piegata su me stessa con il corpo e lo spirito, trascorro le giornate rivolgendomi a Te con queste tue Parole, e fissando l’unica cosa che riesco a guardare: le mie mani. Un tempo, esse erano colme di sogni da realizzare ed era così bello sperare che si sarebbero trasformati in realtà. Non chiedevo poi di raggiungere grandi mete, ma solo quelle che l’orizzonte che avevo dinnanzi mi dava motivo di sperare. Poi, circa diciotto anni fa, improvvisamente tutto si fermò. Anche il cielo si negò ai miei occhi perché la malattia a cui sono legata, mi impedisce di contemplarlo. I sogni che un tempo erano chiusi nelle mie mani sono fuggiti via, al loro posto non ci sono che lacrime per alleviare un poco il mio dolore. Già, le lacrime…, mi ricordo di un antico midrash, in cui si racconta che Adamo ed Eva dopo essere stati cacciati dall’Eden, andarono  a fare penitenza presso il fiume Guihon chiedendo perdono al Signore. L’Onnipotente, vedendo il loro pentimento, fu preso da compassione e li rassicurò perché non si amareggiassero di essere stati rigettati dal giardino dell’Eden, dove tutto era buono. Egli non li abbandonò, ma li amò per sempre. Il Signore chiamò l’uomo e la donna e disse loro: “So che vivrete giorni molto duri, giorni d’angoscia e di mali che spezzeranno il vostro spirito. Ma sappiate che vi amo e che non vi mancherà mai niente. Perciò trarrò dal mio tesoro una perla. Eccola: è una lacrima! E quando una catastrofe vi colpirà, verserete questa lacrima dai vostri occhi e troverete conforto nella vostra tristezza!”.  Ho ripetuto molte volte tra me e me questo racconto, specie in questi anni in cui l’anima era sommersa dall’amarezza,  anni in cui  “le lacrime sono il mio pane giorno e notte”. Molte volte hanno lavato le mie mani e i miei sogni sono affogati in esse, ma sono state anche la mia unica consolazione alleviando un poco il mio dolore. Ti ringrazio Onnipotente Signore per aver riservato all’uomo la perla delle lacrime e per averci dato lo Shabat, giorno in cui posso entrare nel tuo riposo, giorno in cui posso recarmi nel luogo ad ascoltare la tua Parola. Solo questo è rimasto  tra le mie mani, una consolazione che tengo ben stretta a me. E’ da poco trascorsa l’ora nona, tra poco inizierà lo Shabat.  Domani, di buon mattino, quando le vie sono ancora deserte, appoggiata al mio bastone uscirò dalla mia casa per avvicinarmi nel tuo santo tempio e sperimentare un’altra volta ancora che: “stare nella soglia della casa del mio Dio, è meglio che abitare nelle tende dei malvagi” .  Rimanere in ascolto di una tua Parola che venga ad accarezzare  e risollevare un poco il mio cuore. Altro non ho da chiederti o Signore.   “Ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione di servitù”,  nascosta in un angolo legata dalla mia malattia che mi impedisce di stare diritta e con lo sguardo chino a terra, ascolto il rabbino che proclama questa Parola. Inizia ora il suo commento, ma la mia mente e il mio cuore non lo seguono.  I pensieri entrano nella mente, arrivano al cuore e appare evidente che  la mia condizione è simile a quella del tuo popolo quando era servo in terra d’Egitto, ancora prima che la tua  mano potente per mezzo di Mosè, lo strappasse dal potere del faraone.  I nostri padri erano schiavi non solo in senso fisico, ma lo erano doppiamente perché forzati al servizio, o meglio, al culto degli idoli egiziani. Vivevano anch’essi come me con la schiena piegata, incapaci di camminare diritti. Ma poi, ascoltasti il suo grido e “ liberasti dal peso la sua spalla, le sue mani hanno deposto la cesta”.  Vivo anch’io  prigioniera del mio Egitto  o  Mitsrayim,  che nella mia lingua significa appunto: “angoscia dinamica, duplice angoscia, angoscia totale, luogo dove l’umano è definitivamente incastrato e rinserrato”; questo è ciò che dice la mia realtà. Ho ben chiara la mia storia e proprio per questo credo che solo Tu, Adonai, se lo vuoi, puoi intervenire nella mia vita, come facesti con il tuo popolo. In questo santo giorno di Shabat,  slegami o Signore dalla terra d’Egitto, slegami dalla condizione di servitù, “vieni affrettati, ascolta la voce del mio grido”.  Piegata dai miei pensieri, sento un Uomo che mi chiama a se, ha attorno delle persone ed è come se stesse insegnando, deve essere un rabbì. Non ho nulla da perdere per questo mi avvicino a Lui, forse vorrà spiegare a chi lo sta ascoltando che il male che mi ha colpito è frutto di una giusta punizione divina.  Per quanto mi sforzi di guardarlo non vi riesco, non vedo i suoi occhi, eppure ho la sensazione che parta da Lui una intensa compassione che mi avvolge. Più mi avvicino e più sento che in Lui non vi è giudizio né condanna per la mia condizione. Mi sembra quasi di percepire che con delicatezza vuole entrare nella mia solitudine. “Donna, sei liberata dalla tua malattia”. Ascolto, accolgo in me  le sue Parole e sento che sono vere, e sento le sue mani imporsi su di me. Quella forza che troppe volte ho invocato e mai è giunta mi invade rientra in me e permette che raddrizzi la mia schiena. Che miracolo è mai questo, chi è mai Costui che ha operato un prodigio così grande? La gioia di essere inaspettatamente sanata invade la mia vita, oggi nel giorno di Shabat è giunta a me la liberazione e la tristezza cede il passo alla gioia alla gratitudine. Glorifico il tuo nome Onnipotente Signore, che per mezzo di questo tuo Profeta, ti sei ricordato di me e non hai permesso che il male mi tenesse prigioniera per il resto della mia vita. Ora in pienezza posso dire a tutti che la mia storia è stata come quella del mio popolo, prima schiavo e poi liberato da Te.  “Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare;in quelli dunque venite a farvi guarire e non in un giorno di sabato”.  A parlare in questo modo è il capo della sinagoga, ma non capisco il senso di questa osservazione. E perché si sta rivolgendo alla folla e non direttamente a Colui che mi ha guarito, e perché non si rivolge a me che sono stata guarita?.  E’ come se con la sua autorità volesse allontanare le anime da questo Profeta che mi ha slegata, come se volesse scoraggiare i presenti ad avere ogni contatto con il mio Salvatore.  Deve essere la voce di chi non ha il coraggio di rivolgersi direttamente a quest’Uomo, ed è privo di ogni libertà interiore. E’ la voce di chi non osa affrontare ne Colui che mi ha sanato ne tanto meno me stessa. Se solo venissi interpellata direi quanto sono stati penosi questi diciotto anni di solitudine, di schiavitù, darei testimonianza di questo prodigio, non temerei di dire che quest’Uomo è il Messia che attendiamo. No, devo continuare a glorificare Dio per non avermi abbandonata, devo dare testimonianza della mia fede. Ora posso guardarti negli occhi Signore, ora posso ringraziarti di vero cuore, dirti che canterò per sempre la salvezza che hai operato in me. Ora, ti volgi direttamente verso il capo della sinagoga, non temi di affrontarlo e gli dici: “Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia per condurlo ad abbeverarsi?. E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?”. Maestro buono anche se sono solo una donna,  comprendo il senso di ciò affermi con potenza e verità. Anch’io ero legata alla corda della sofferenza da uno spirito malvagio. Io necessitavo di dissetarmi alla fonte della salvezza, di essere liberata dal maligno.  Se può essere sciolto un animale nel giorno di sabato a maggior ragione dovevo esserlo io che sono creatura di Dio. Continuo a gioire perché oggi la casa della mia anima non è più abitata dal faraone che mi teneva legata a se, non più serva, non più piegata su me stessa, finalmente libera. Tutti i tuoi avversari o dolce Maestro, digrignano i denti e si vergognano perché  hai messo in luce un legalismo che paralizza, che sa misurare le scelte della vita con il metro dell’egoismo. Misura ingiusta destinata a venire alla luce ad essere smascherata. E’ la medesima vergogna di Adamo che dopo il peccato si nascose perché egoisticamente ha voluto farsi dio di se stesso.  Continuino a stare nelle loro schiavitù, nelle loro invidie. Da ora in poi  il mio posto è tra tutti coloro che esultano per le meraviglie che compi in mezzo a noi. A tutti coloro che ti invocano e che credono in Te, annuncerò per sempre: “Vedano i poveri e si rallegrino; voi che cercate Dio, fatevi coraggio, perché il Signore ascolta i miseri e non disprezza i suoi che sono prigionieri”.

 

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