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Il Funzionario del re e la Misericordia
 (Gv 4,43-54 )

di Claudio Capretti

“Basilikos, mio signore, Colui che chiamano il Nazareno è diretto a  Cana di Galilea. Sappiamo che  vi  si tratterrà per qualche giorno”.  Attendevo con ansia questa informazione; osservo con gratitudine il mio fedele servitore ed accenno con la testa che può congedarsi. Con le mani dietro la schiena torno a fissare di nuovo il vuoto. Le incombenze di ufficiale del re riemergono violentemente,  ma spariscono dinnanzi al dolore che da qualche tempo assedia la mia vita: la grave malattia che ha colpito mio figlio. La morte lo sta portando via da me, lo vedo, lo sento. I medici continuano a somministrargli farmaci che non hanno nessun beneficio ed è evidente la loro incapacità ad andare oltre. A cosa mi serve tutto il potere di cui dispongo, se poi non riesco a salvare ciò che è parte di me stesso?  Affannoso è il respiro e lento è il trascorrere del tempo e delle cose. Sono in balia di un’impotenza che sfocia nella rabbia per essere dinnanzi a qualcosa che vorrei contrastare con tutte le mie forze, ma ne sono impedito, e tutti i  progetti che avevo sopra mio figlio si stanno infrangendo dinnanzi a questa malattia. Tu, Gesù di Nazareth, non mi conosci, ma io so molte cose di Te. Conosco il remoto villaggio da cui provieni, so chi sono i tuoi genitori e il lavoro che svolgevi prima di percorrere le strade della Galilea e della Giudea. I miei informatori mi riferiscono ciò annunci alle folle e il modo di come lo fai. Forse non ci crederai, ma conosco molte delle tue parabole. So persino che ogni forma di male retrocede al tuo passaggio e che nulla si oppone alla tua Parola. E non vi ho trovato niente in Te che vada contro la Legge d’Israele, ne mi risulta che con i tuoi racconti abbia mai sobillato il popolo contro il re che rappresento. Mi hanno detto che proprio dove ti stai dirigendo, a Cana di Galilea, operasti il tuo primo miracolo, fu durante un banchetto di nozze di un tuo parente. Venne a mancare la cosa più importante per una festa nuziale, il vino, e così su invito di tua madre, e forse mosso a pietà per gli sposi, trasformasti l’acqua in un vino della migliore qualità. Da un male ne traesti un bene. Sarà un caso che scegliesti un matrimonio come tua prima manifestazione?  Sarà un caso che come prima rivelazione scegliesti di visitare una gioia e non un dolore o una malattia? Non lo so,  ma una cosa nella vita ho compreso: nulla accade per puro caso. Sai, al mio matrimonio sta venendo meno qualcosa di più prezioso del vino: mio figlio. Per questo ho deciso di mettermi in cammino sotto un sole cocente per incontrarti e chiederti la sua guarigione. Non sono un credente come lo è  il tuo popolo, ma  non ho mai disdegnato il confronto con gli uomini della Legge come con il rabbino del villaggio dove risiedo. Fu lui a  farmi conoscere la storia di Abramo e della sua fede basata sulla Parola del Dio d’Israele il quale, molti anni fa gli disse: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che ti indicherò”.  E se anch’io come Abramo avessi un cammino da compiere?  E se  questo fatto doloroso non avesse altro scopo che indicarmi Qualcuno che vuole rivelarsi a me tramite mio figlio? E se questo Qualcuno fosse proprio Colui che in molti  chiamano il Messia?  Abbandono queste domande forse troppo grandi per me e di buon mattino mi metto in cammino verso Cana di Galilea. Durante il viaggio, mi fermo un poco per riprendere le forze. Osservo i servitori che mi accompagnano, forse questo mio incamminarmi verso il Nazareno è per loro un segno di debolezza, forse avrei dovuto evitarlo. Ma anche loro sono padri e di certo capiranno. Il re Erode Antipa che rappresento in questa regione, più di qualche volta ha voluto sapere qualcosa sul tuo conto. Era così incuriosito dalla tua persona  fino ad affermare che desiderava incontrarti. Lo conosco bene, forse vorrebbe che Tu compissi qualche miracolo o qualcosa di spettacolare dinnanzi alla sua corte, per poi forse vantarsi di conoscerti.  Il pensiero si volge verso suo padre, Erode il Grande, colui che ordinò una incomprensibile strage di bambini con il pretesto che in mezzo a loro poteva esserci il nuovo re. Si dice che morì subito dopo sommerso da rimorsi. Se il dolore per mio figlio è grande, quanto più grande sarà stato il dolore di quelle madri e di quei padri nel veder assassinati i loro figli dal loro re?. Non ci avevo mai pensato, servo il figlio di un infanticida…. Ma anche Erode Antipa sposando la moglie di suo fratello e ordinando l’uccisione  Giovanni Battista, l’unico che ebbe il coraggio di rimproverargli questo peccato, non è certo migliore di suo padre. Il suo adulterio lo portò a diventare omicida, come accadde ad un altro re prima di lui, Davide. E’ vero, un peccato chiama sempre un altro peccato di solito sempre più grande del primo.  Due giorni di cammino e finalmente all’ora settima del giorno ti incontro. Qualcuno mi ha detto che questa è un’ora significativa, è l’ora in cui Eva è stata data all’uomo come compagna, è il tempo della pienezza, della coppia, uomo e donna, e della costruzione della loro famiglia, dei loro frutti. Più esattamente, la salute della loro progenie. Forse, neanche l’ora in cui ti incontro è casuale. Sono ora dinnanzi a Te, con le sole parole e con il solo modo che conosco, quello di ufficiale di un re,  ti chiedo di scendere a guarire mio figlio. Dopo avermi fissato mi rispondi:“Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”.  Ed appare evidente dinnanzi agli occhi del mio cuore ciò che non avrei mai creduto, ovvero, tutta la mia pochezza.  Vorrei fuggire da Te, forse per vergogna  per averti trattato solo come un taumaturgo e basta. Queste tue parole rivelano che Tu sei molto di più di un medico e valeva dunque la pena mettersi in cammino per incontrarti.  E’ l’ora settima, l’ora in cui alla vigilia di Pesach,  il lievito è definitivamente eliminato. E’ il tempo in cui Israele entra così nella festa di Matzot, nel tempo in cui gli esseri umani si nutrono di un cibo senza il minimo frammento di lievito, ovvero senza un briciolo d’orgoglio. Forse, per entrare nella pienezza di questo incontro con Te, devo nutrirmi anch’io di un cibo senza la più piccola briciola d’orgoglio.  E’ in Te che intravedo, seppur in modo appena percettibile, quella divinità che è racchiusa in me; attraverso di Te scopro pensieri in me che mai avrei pensato di avere. Incontrandoti mi sto incontrando, conoscendoti mi sto conoscendo.  Credevo di sapere chi eri per sentito dire, ed invece sono dinnanzi a Qualcuno infinitamente più grande di quanto potessi immaginare. Ma soprattutto, ho compreso che Tu mi conosci molto di più, e più profondamente di quanto io mi possa conoscere.  Insistente si fa allora la mia richiesta e ti ripeto in modo nuovo ciò che ti ho detto poco fa: ”Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Scendi Signore nel mio dolore, guarisci mio figlio, ma  ancor prima guarisci la mia pochezza e sana la mia poca fede. Sono solo un uomo che seppur potente, vacilla dinnanzi al mistero della sofferenza. Che non riesce a dargli il giusto senso. Scendi o Signore nelle viscere del mio cuore, scendi nelle mie profondità, rivela a me stesso chi sei Tu, affinché io possa rinascere a vita nuova. Mi guardi e come se avessi letto nel mio cuore ciò che vi sta accadendo, mi dici: “Va’ tuo figlio vive”.  Non servono altre parole, credo sulla tua Parola e mi metto di nuovo in cammino, questa volta verso la mia casa.  I miei servitori mi osservano ancor più di prima forse non comprendono, ma non osano contrariarmi.  E ritorna con insistenza alla mia mente la storia di Abramo, per alcuni tratti essa è simile alla mia.  Egli si mise in cammino una prima volta  verso una terra che non conosceva, con la promessa di una discendenza più numerosa delle stelle del cielo, e una seconda volta una seconda volta quando gli fu chiesto di sacrificare il suo unico figlio Isacco. In entrambi i casi egli credette alla Parola dell’Onnipotente e la sua speranza non rimase delusa.  Anch’io mi sono messo in cammino una prima volta spinto dalla voce della necessità, sperimentando l’incontro con il Cristo; ora di nuovo in viaggio fidandomi solo della sua Parola.  Ma la vita stessa non è forse  un continuo cammino verso di Te?.  E’ trascorso un giorno di cammino, e da lontano i miei servi mi vengono incontro dai loro volti capisco che la tragedia si è allontanata dalla mia casa. “Tuo figlio vive”  mi annunciano.   Anch’io come il nostro padre Abramo non resto deluso, desidero sapere quando è avvenuto tutto questo. “Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato”. Mi volto indietro da dove sono venuto e mi sembra di scorgere in lontananza la tua presenza.  Mosso a misericordia per la mia vita, sei sceso nelle mie profondità per guarire la mia incredulità, rivestirla di vera fede in Te, che sei Colui a cui niente è impossibile.  Venni da Te per avere qualcosa, incontrai Qualcuno ricco di Grazia e di Misericordia  affinché io, da oggi, divenga apostolo della tua Misericordia. 

 

 

 

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