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Simone di Cirene e la Misericordia   

(Mc 15, 21-22)

di Claudio Capretti

Asciugo la fronte dal sudore dopo una mattinata di duro di lavoro. Tra non molto il sole sorgerà alto, è tempo di lasciare i campi e di fare ritorno a casa, dalla mia famiglia. Mi avvicino ad una delle porte di Gerusalemme e da lontano scorgo le figure dei miei figli, Alessandro e Rufo. Li guardo con orgoglio nascosto poiché sono la mia ragione di vita. Il più grande già inizia a sentirsi un piccolo uomo; il tempo in cui lo prendevo per mano e si lasciava condurre da me si sta allontanando. Li raggiungo  e insieme possiamo rientrare in città. Un frastuono di voci ci raggiunge, il tumulto di un corteo rabbioso sembra colpirci in pieno. Non sono un credente, almeno non nel Dio di questo popolo, ma come si può essere figli di Mosè, e proferire parole così dure?.  Catturati dalla folla, diveniamo forzati spettatori di ciò che ci si pone dinnanzi. Un Uomo, privo di ogni bellezza e di ogni dignità, è schiacciato sotto il legno di una pesante croce. Oltraggiato, beffeggiato da una folla che sembra aver perso ogni parvenza umana, che con cattiva ostinazione si accanisce contro di Lui. “A morte il Nazareno”, è il grido che sento ripetere con insistenza e non con senso di giustizia, ma con palese cattiveria.  D’istinto copro gli occhi di entrambi i figli, nascondo a loro ciò che non posso nascondere a me stesso: il corpo martoriato di questo condannato a morte. Vorrei chiudere gli occhi voltarmi da un’altra parte, ma non riesco e gli occhi continuano a posarsi su Colui che chiamano il Nazareno. Cosa avrai fatto di così malvagio per meritare tutto questo? Di quali crimini ti sarai caricato?  Ti vedo cadere, ed invece di risollevarti i tuoi aguzzini incitati da quella parte di folla che sembra essersi incamminata verso la disumanità, si accaniscono ancora di più su di Te. Si fermano, forse avranno intuito che non arriverà mai sul luogo dove verrà crocifisso. Ora parlottano fra di loro, e uno di loro si volge verso di me, indicandomi con la frusta.  Vedo avanzare verso di me un aguzzino e senza dire una parola, mi strappa dai miei figli e mi conduce dinnanzi al Nazareno. Capisco subito: vogliono che lo aiuti a portare la croce. Tento un’ inutile resistenza, guardo i miei figli spaventati, non so cosa fare. Poi una donna si pone dietro di loro, capisco che si prenderà cura di Alessandro e Rufo. Mi volto verso di Te, Nazareno, ti guardo come a volerti dire che io non c’entro niente con la tua esecuzione, neanche ti conosco, sono solo un bracciante e non appartengo al tuo popolo, sono infatti nativo di Cirene. Perché mai proprio oggi, in questo preciso momento, le nostre strade si sono incrociate?  E’ il tuo respiro ansimante, il tuo sguardo colmo di ogni umana sofferenza è il tuo volto coperto di sangue, la tua testa coronata di pungenti spine a rispondermi, a chiedermi di aiutarti. La compassione che ora nasce in me verso di Te, si impadronisce del mio cuore e sento allontanarsi da me ogni forma di resistenza.  Ti cingo i fianchi, appoggio il tuo braccio sulla mia spalla e ti aiuto a rialzarti. Poi, lascio che i malvagi aguzzini carichino su di me la tua croce, divenuta ora anche la mia. Una croce intrisa del tuo sangue che si riversa sulla mia tunica, l’attraversa, fino ad inumidire la mia spalla. Ti appoggi ora un po’ a me, insieme riprendiamo il cammino. “A morte il bestemmiatore”, urla qualcuno ai lati della strada. Altri ancora con malvagità gli fanno eco: “Diceva di essere il Messia, il Figlio di Dio, ma guardatelo, ..”  Ubriachi dall’odio, lanciano parole più dure dei sassi, e Tu taci, sembra quasi Tu voglia farti carico di queste ingiustizie. Guardi coloro che ti oltraggiano con occhi che sembrano traboccare dolore e misericordia. Forse sai che quell’odio che trabocca dai loro cuori, dopo aver divorato Te, divorerà ognuno di loro.  Chi sei Nazareno? Qual è il tuo nome? Perché non reagisci, fai qualcosa, dimmi qualcosa.  Sembra quasi che Tu abbia letto nei miei pensieri, i nostri sguardi si incrociano di nuovo, un dolore attraversa il mio cuore, invisibilmente lo trapassa. Nasce in me la convinzione che non puoi meritare tutto questo, se lo subisci così senza ribellarti deve esserci qualcos’altro che sfugge agli occhi di tutti. Non ho più orrore del tuo aspetto martoriato, ed ho la sensazione che su di Te si sia riversato tutto il male del mondo come se Tu ne fossi l’unico responsabile. Ma forse non lo sei, forse stai pagando per conto di qualcun altro. Vedo ai bordi della strada i miei figli, il più piccolo piange, vorrebbe venire da me, spero che la donna che lo accompagna non glielo permetta. Avanzo faticosamente, e cadono gocce del tuo sangue sulle pietre, e sembra che queste urlino, sembra che siano più tenere dei cuori dei tuoi aguzzini. Alcune donne piangono al tuo passaggio, una di loro si avvicina a Te, asciuga il tuo Volto, vorrebbe alleviare un poco il tuo dolore, ma la soldataglia, aizzata dalla folla urlate contro questo gesto di carità inveisce di nuovo contro di Te ed ordina che il corteo riprenda il suo cammino. Stiamo per attraversare una delle porte di Gerusalemme, ti vedo cadere di nuovo in mezzo al fango e nessuno è presente per rialzarti, gli sgherri si accaniscono con maggiore crudeltà, ti rialzi di nuovo e il mio cuore viene di nuovo afferrato da una nuova ed intensa compassione, verso di Te. Eri per me uno sconosciuto, eri l’ultima persona che oggi avrei voluto incontrare, eppure, condividere questa croce con Te, sta facendo nascere in me qualcosa di nuovo. Da oggi qualcosa cambierà e per altre vie condurrò la mia esistenza. Prima eri solo il Nazareno, ora, c’è qualcosa in Te che mi porta a chiamarti Signore.   “Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, se così si fa con il legno verde, con il secco che avverrà”?  Sono le prime parole che ti sento dire e le rivolgi a queste donne che piangono per Te. Non sono parole di rabbia per i tuoi aguzzini, non le spingi a compatirti ancora di più,  ma dalle tue labbra escono solo parole di misericordioso monito.  Il triste corteo si arresta, siamo giunti al monte Golgota, poggio la croce a terra, ti guardo e cerco di avvicinarmi a Te. Vorrei alleviare un poco le tue sofferenze, ma i carnefici me lo impediscono, percuotono ferocemente anche me e mi allontanano da Te. Forse è il prezzo per averti incontrato, per essermi lasciato conquistare da Te, per aver condiviso con Te un po’ della tua sofferenza. Forse, chi mi ha costretto a portare la croce con Te, sperava che io mi accanissi su di Te, che mi unissi alla loro malvagità. Ma tutto ciò non è accaduto. Veramente basso è il prezzo che sto pagando per averti seguito, per aver consegnato la mia anima a Te, Parola che dinnanzi alla crudeltà, all’ingiustizia, tace. Mi guardi ancora, forse l’ultima volta, forse per gratitudine, forse perché sai che dalla mia anima si è alzata forte la voce dell’appartenenza a Te, Misericordia che tace. E piango, mio Signore per la tua immane sofferenza, piango perché comprendo che su di Te si è riversato il peccato di ogni uomo, compreso il mio. Mi raggiungono i miei figli, con lo sguardo ringrazio la donna che ha avuto cura di loro, li sento abbandonarsi ad un pianto liberatorio. Anche il maggiore si stringe forte a me. Dovrei andar via, ma non posso, mi fermo insieme a quella folla che non ti oltraggia, ma muta spettatrice si raccoglie per guardare un Giusto, che senza ribellarsi, viene inchiodato alla croce. Non ho mai pregato Signore, ma in questo momento non posso reprimere questa preghiera che esce da un cuore toccato da Te, dal tuo amore. Per questo mi inginocchio e ti dico: “Ti adoro o croce  santa che fosti ornata del corpo sacratissimo del mio Signore, coperta e tinta del suo preziosissimo sangue. Ti adoro o mio Dio, posto in croce per me. Ti adoro o santa croce per amore di Colui che è il mio Signore”.

 

 

 

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