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La vedova di Nain e la Misericordia   

(Lc 7,11-17)

di Claudio Capretti

“Non i morti lodano il Signore né quelli che scendono nel silenzio”. Mio Signore, se certa è questa Parola, perché hai ripreso a Te mio figlio?. Forse disdegni la sua lode? In che cosa ho mancato per meritare tutto questo? La mia vedovanza non era già una dura prova? Perdona la mia ribellione, una donna come me non dovrebbe osare tanto, ma questo dolore è così forte, che mi impedisce di rientrare in me stessa, sarà per questo che ti sento così lontano da me. Quando venne a mancare mio marito, il rabbino mi strinse forte e mi disse: “Difensore delle vedove è Dio nella sua santa dimora”. Mi furono di grande consolazione quelle parole, ma ora dinnanzi a tutto ciò ti domando: perché Signore non mi hai difeso da questo dolore? “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Come vorrei che si manifestasse a me un profeta al pari di Elia, il quale invocandoti restituì la vita al figlio della vedova di Sarepta. La povera donna, rassegnata dal dolore non sperava più in niente, ne voleva chiedere nulla al più grande dei profeti. Fu questi, che mosso a pietà, le tolse dalle braccia il figlio che giaceva morto, invocò con insistenza il Signore, e la sua preghiera trovò grazia presso l’Onnipotente. Anche Eliseo, operò un medesimo prodigio. In questo caso la madre Sunnamita di nascosto dal marito, si rivolse a lui sapendo che, come aveva interceduto per lei presso il Signore per donarle un figlio, era certa che attraverso la preghiera di Eliseo, il Signore gli avrebbe restituito suo figlio vivo; e così accadde. Elia, Eliseo, voci dell’Onnipotente dove siete? Perché non sorgono più profeti al vostro pari in terra d’Israele? Se ve ne fossero, correrei da loro, li implorerei in ginocchio affinché il Signore faccia tornare in vita ciò che è parte di me stessa. Figlio mio, ti ho custodito nel mio ventre per nove mesi, ti ho dato alla luce, ho avuto cura di te negli anni della fanciullezza, ed ora, è toccato a me lavare il tuo corpo inerme, avvolgerlo nel lenzuolo e deporlo dentro una bara. O Nain, anche tu ti unisci alla mia sofferenza, e ti appresti ad accompagnare la salma del mio fanciullo verso il luogo dove verrà sepolto. Tutto è ormai pronto per iniziare il tuo ultimo viaggio figlio mio, il corteo si stringe sempre di più intorno a me come a volermi sostenere e incoraggiare. L’unica voce che si leva, è il pianto delle donne che mi accompagnano ed così forte da coprire il mio lamento. I piedi non vorrebbero varcare la porta della città, tutta la mia anima desidera trattenerti ancora un po’ con me e non condurti verso il nulla, ma non ho alternative. Faccio cenno con il capo ai portatori che possono iniziare il loro servizio. Iniziano ad incamminarsi, non si fermeranno che davanti al sepolcro. Seppur stordita dal dolore, non posso non notare un Uomo che a capo di corteo apparentemente festoso, viene incontro al nostro. Sembra quasi che i due volti della vita debbano fronteggiarsi: il dolore che avanza verso la porta della città per uscirne, e la gioia che entra in città attraverso la medesima porta. Il corteo festoso si ferma immobile, si zittisce dinnanzi al nostro. La loro gioia sembra spegnersi di colpo dinnanzi a ciò che non occorre descrivere per comprendere. Ed è come se volesse divenire una sola cosa con noi, e sembra quasi che il corteo funebre abbia preso il sopravvento su quello festoso senza colpo ferire. E’ giusto così. Il lutto non merita forse rispetto? L’Uomo che ne era a capo si distacca dal suo corteo e avanza verso di me. Si incrociano i nostri sguardi e comprendo, senza capirne il perché, che profonda e la sua compassione per me. Poco importa chi sei o Sconosciuto, sento di doverti consegnare la mia angoscia, ma le parole non escono dalla bocca, il dolore le ha sigillate nel mio cuore. Con un cenno della testa ti indico la bara, e non occorrono altre parole. Ti stai facendo sempre più prossimo a me, ti avvicini, mi fissi fin dentro l’anima e mi dici:“Non piangere” . In molti oggi mi hanno detto di farmi coraggio, di non piangere e ben poca consolazione hanno recato al mio cuore. Sento che queste tue parole sono diverse da tutte le altre udite finora, sento che sono portatrici di una speranza che non oso neanche sperare . Il silenzio regna, tutti rimangono in attesa di un qualcosa che ancora nessuno immagina, mentre è solo la voce del vento a regnare sopra di noi. Ti avvicini alla bara, la tua mano tocca il legno ed immediatamente i portatori si fermano. Impietriti non possono più avanzare, sembra che l’inesorabile viene ora fermato dalla tua mano. E’ la tua voce ora ad imporsi sopra la voce del vento: “Ragazzo, dico a te, alzati”. Il brusio si alza forte nel mio corteo, voci di sconcerto si alternano a voci di scherno, mentre il tuo corteo, o Sconosciuto, tace, sembra quasi che siano in attesa che mio figlio si ridesti realmente dal sonno della morte. Chi sei Tu, per comandare alla morte di retrocedere e di restituirmi mio figlio?. Sei forse un profeta al pari di Elia o del suo discepolo Eliseo? I pensieri si interrompono di colpo, tacciono le voci incredule del mio corteo, mentre il tuo o Signore, prorompe in grida di giubilo. Ciò che hai appena comandato si avvera contro ogni speranza. Il mio fanciullo si alza dalla bara, si mette seduto e inizia a parlare. Ti guarda, ed è come se ti conoscesse da sempre, ed è come se avesse riconosciuto in Te, Colui che lo ha ridestato dal sonno della morte. Prendi ora la sua mano e lo restituisci a me, e i sigilli del dolore si spezzano. Veramente o Signore attraverso questo grande Profeta hai difeso la mia vita dall’angoscia in cui era caduta, e per la seconda volta mi doni questo tuo figlio. Se Elia ed Eliseo hanno implorato con insistenza l’Onnipotente affinché i giovani rivivessero, questo Profeta che oggi hai inviato a me, ha ordinato alla morte di restituirmi mio figlio, e questa le ha obbedito. Non conosco ancora il tuo nome, ma sento che Tu sei la Vita, che si affianca alle nostre miserie, che non ne rimane insensibile e se ne fa carico. Si, Tu sei la Vita, che irrompe nelle nostre storie, che avanza con potenza e delicatezza. Tu sei la Vita ammantata di Misericordia che cura le nostre ferite con l’olio della Compassione. Tu sei la Vita il cui passaggio in mezzo a noi rende visibile la presenza del Dio di Abramo. Tu sei la Vita che senza riserve si dona a noi affinché abbiamo la vita, e la vita in abbondanza. Tu, mio Signore sei la vittoriosa Vita, che nessun sepolcro può trattenere per se. Tu sei la Vita o Signore, quell’unica vita di cui ne abbiamo un disperato bisogno. Tu sei la Vita che annunci una Verità che mai si consuma. Tu sei la Vita che oggi ha fermato l’inesorabile. Tu sei la Vita che apre dinnanzi a noi nuovi orizzonti, che spalanca nuovi cieli. Tu sei la sorgente della vita, alla cui luce vediamo la luce e dinnanzi a tutto ciò non ho altro da dire che: “Cosa posso rendere al Signore per quello che mi ha fatto?”. Entrambi i cortei si fondono in uno solo. L’affluente che era destinato a morire in uno stagno, confluisce in un Fiume di acqua viva, che conduce alla foce della Vita. Qualcuno che prima non ti conosceva desidera incontrarti, chiedono ai tuoi chi Tu sia, e grande è lo stupore che esce dalle loro bocche. Immensa è la gratitudine verso il Signore, e tutti proclamano: “Un grande profeta è sorto tra noi”, e :”Dio ha visitato il suo popolo”.

 

 

 

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