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Riflessioni di don Daniele Dal Prà sulla Persona

Dal testo di Charles Taylor

 

"ETICA E UMANITA'"

C. Taylor, Social Theory as practice,Oxford University Press, Delhi 1983

Understanding and ethnocentricity, Cambridge University Press, Cambridge

 

INTRODUZIONE

La rivoluzione epistemologica del 600, non ha semplicemente cambiato le basi della conoscenza, ma soprattutto le basi della riflessione morale. Eliminando la prospettiva dell’Agente Incarnato, che aveva dominato la filosofia occidentale a partire da Aristotele fino alla riforma, la rivoluzione epistemologica ha iniziato a rivedere l’intera gamma dello scibile umano a partire dalla prospettiva dell’Agente Distaccato.      Come la ricerca scientifica si era soffermata sulle qualità secondarie degli oggetti – cioè quelle qualità – che esistono a prescindere dalla relazione tra oggetto e osservatore, così la riflessione etica è stata costretta ad eliminare i suoi presupposti antropologici per muoversi in direzione di ciò che fosse oggettivamente calcolabile.
La riflessione morale, viene ridefinita in relazione a valutazioni deboli in merito ad un fine ultimo, considerato universale e a-problematico, cioè la felicità umana.
Charles Taylor, insiste sul pensiero che l’uomo non si caratterizza solo per la capacità di valutare le proprie azioni in vista del raggiungimento di uno scopo, ambito, in cui è strategicamente superiore agli animali e alle macchine, ma deve la propria umanità alla capacità di valutare tra fini diversi, ordinandoli gerarchicamente tra di loro ed elaborando un quadro complessivo di quella vita morale che ai suoi appare come buona e degna di essere vissuta.

 

RIFLESSIONE DA ETICA ED UMANITÀ

Charles Taylor in Etica e Umanità, analizza il concetto di Persona, attraverso l’immagine dell’auto-interpretazione; differentemente dai suoi scritti precedenti (1) , ove interesse era la descrizione conflittuale filosofica nel contesto delle scienze sociali, qui ne allarga l’orizzonte alle altre scienze umane.
Partendo dal concetto di Persona come l’essere che possiede dei diritti, in possesso di capacità utili alla propria pianificazione esistenziale, per Taylor identificare la Persona, significa affermare un essere rispondente, ossia colui che origina in se stesso il proprio punto di vista, condizione necessaria e differente, dalla specie animale a cui attribuisce in sé esclusivamente delle azioni. Secondo l’autore, la cultura moderna racchiude molteplici concetti di Persona, che fa risalire principalmente a due interpretazioni: una sviluppatasi a partire dal secolo XVII, ed un’altra che concentra il suo studio sulla natura dell’azione.
La sua analisi prende avvio da alcuni interrogativi: se per Persona, intendiamo l’essere a cui ci si può rivolgere e che può replicare, ogni corrente filosofica si deve domandare il significato di "rispondente", e rispondere allo specifico degli agenti che sono anche Persone.
Dalle due domande sopra esposte cerca di proporre due interpretazioni del significato Persona, dalle quali  derivano le differenti posizioni della cultura moderna, e che per Taylor diverranno determinanti sia da un punto di vista scientifico per la spiegazione del comportamento umano, sia dal punto di vista morale, al fine di poter affermare cosa intendiamo per una forma di vita buona ed accettabile.
Dalla prima interpretazione si ricava una nozione epistemologica radicata nel termine soggetto: la Persona è l’essere dotato di coscienza perché capace di formarsi rappresentazioni, e questa capacità, denominata appunto coscienza, è da loro posseduta e ignota agli animali; con ciò si risponde ad entrambe le questioni inizialmente poste, infatti questa capacità di formarsi rappresentazioni attribuendo alla Persona il proprio punto di vista lo rende rispondente.
Nella seconda interpretazione, concentra la sua analisi sul concetto azione, siccome agli agenti le cose importano, la sola prestazione o la assimilazione ad una macchina, non è la stessa concreta situazione, in quanto le macchine non sono mezzi ai quali si possono attribuire un desiderio.
Quando invece parliamo di regno animale o della Persona umana, dobbiamo distinguere che i loro scopi sono originari.
Ci troviamo davanti ad una differenza dello scopo, che separa i due concetti di Persona, data appunto dalla differenza tra scopo originario e derivato: una macchina ha scopi più deboli rispetto a noi e agli animali, secondo la prospettiva prima; ma la seconda prospettiva traccia una differenza più marcata, ponendo infatti nella sua risposta a ciò che possiamo chiamare rispondente non un fatto relativo alla coscienza, bensì la risposta alla significatività originaria che le cose hanno "per".
Se ciò è vero, rispetto alla prima analisi le risposte alle due questioni hanno adesso un collegamento assai differente: se il possedere un originario punto di vista è condizione basilare di ogni agente, cosa la Persona è distinta dagli altri agenti, senza confondere lo scopo originario con la coscienza?
È necessario procedere per gradi e chiedersi perché la nozione di coscienza come rappresentazione non aiuta a spiegare questa differenza Persona/animale?
1 – perché formiamo rappresentazioni di cose indipendentemente dal fatto che ce le raffiguriamo costituendo un criterio di tale raffigurazione, ma quando formuliamo ambiti fondamentali alla coscienza come nel caso dei nostri sentimenti, capiamo che crolla questo modo di idealizzare. Le emozioni, infatti, che una persona può provare  mutano col cambiamento interpretativo, la comprensione plasma l’emozione, quindi, le emozioni non sono considerate oggetti indipendenti.
2 – il nostro concepire gli agenti come soggetti di azione strategica può farci ritenere le Persone superiori agli animali per la comprensione di relazioni di causa/effetto più complesse, quindi tutte capacità in cui è essenziale formarsi rappresentazioni, ma il pensare le nostre emozioni ci introduce al concetto di moralità. La moralità richiede una distinzione dei vari tipi di fini, una consapevolezza riflessiva dei criteri a cui ci atteniamo o meno. Ne consegue che va ricercata nella coscienza una determinata risposta, ma quando si parla di aspetti tipicamente umani non è nella coscienza come rappresentazione che va cercata una risposta, ma la coscienza intesa come ciò che ci consenta un’apertura a tali interessi umani, spostando il centro dalla facoltà di pianificare a una dimensione di significatività.
Queste due concezioni della Persona, hanno motivazioni differenti a seconda che ci si soffermi nell’ambito scientifico o delle scienze umane. La concezione della rappresentatività ha goduto prestigio in ambito delle scienze naturali, che rifiutò ogni proprietà antropocentrica; se il XVII secolo introduce una distinzione tra proprietà primarie e secondarie, queste ultime vengono applicate alle cose e comprese perché qualità soggettive. Questo rifiuto del significato che le cose avevano per noi anziché la loro realtà, ha dato notevole impulso alle scienze naturali, spingendo tale ricerca anche alle scienze umane: provare una emozione vuole dire essere colpiti, e descriverne la situazione nella sua significatività per noi.
Ma cosa significherà concepire una spiegazione che prescinda dalla significatività? Che gli aspetti individuati per descrivere la significatività non siano essenziali per spiegarla, ma fungano necessari solo i modi in cui le cose ci appaiono, in base a quanto affermano diverse scuole di psicologia (2). Nelle scienze sociali l’evitare le proprietà antropocentriche conduce ad una aporia e quindi, diviene necessario, valorizzarne il suo fondamento nelle scienze naturali, al fine di garantire quella base di neutralità che ci aiuti ad osservare ogni cultura senza etnocentrismo.
Ma le nostre due concezioni sulla Persona, quanto incidono nella moralità?
Se partiamo dalla concezione strategica, l’uomo è solo strategicamente superiore al mondo animale, con una conseguente ragione strumentale. L’utilitarismo che ne deriva ci consegna dei fini che  appaiono dati dalla natura, dai quali la ragione dovrebbe essere strumentale (questi fini sono al di fuori di ogni significatività umana); il suo compito è interpretare al meglio questo mondo che fornisce dei significati che egli comprende parzialmente, per sapere CHI egli è e CHE COSA deve ricercare; mentre nella prospettiva rappresentativa il soggetto è già a conoscenza dei propri fini, e comprende le cose a prescindere dal loro significato.
I due modelli nel guardare all’Uomo, come coscienza che si fa rappresentazione delle cose scientifiche fuori del significato, e l’altro modo di farsi agente per cui le cose importano, sono ambedue presenti nella nostra cultura, e possiamo sostenere che le persone lavorano su entrambi.
Le Persone agiscono in un certo modo senza essere a conoscenza di quale teoria, utilizzino, hanno una idea mista, ed entrambi i percorsi possono essere importanti, anche se poche Persone si chiedono cosa voglia dire essere Persona. Si ha comunque una risposta perché abbiamo a che fare con le Persone, in chi cerca il primo modello, però, la coscienza come rappresentazione dà una spiegazione del fare senza significati, difatti la vergogna, o un altra emozione, affinché accada richiede un contesto di significato.
Charles Taylor nel suo percorso, seppur lungi dall’utilizzare un tono polemico, solitamente non in linea con il suo modo di essere filosofo e storico allo stesso tempo, rimarca però con chiarezza il suo pensiero.
Alla domanda, da dove nasca questo senso scientifico di guardare all’Uomo ed al mondo animale, volendo ridurre il significato ad un sistema che si può misurare e contare, risponde, che seppure c’è il desiderio di cercare un dominio, c’è anche la motivazione, sulla base di questo atteggiamento scientifico di voler essere liberi.
Se io posso fare senza significato, posso definire me stesso ed i miei scopi, sentendo in questa libertà un modo attraente, di sottomettere la natura al nostro controllo; ma questa libertà ha anche un origine spirituale di radice greco-cristiana, che nella prima teoria esaminata, viene distolta in senso negativo, in quanto, uscire dalle nostre emozioni, o sentirsi liberi da esse, vuol dire negare il fatto di essere Uomo, e, teologicamente parlando significherà negare le parole contenute nel prologo del vangelo di Giovanni:  il Verbo si è fatto carne.


CONCLUSIONE

Come è possibile si chiede Taylor che il fascino e l’influenza dell’approccio morale riduttivo, soggettivista, procedurale e distaccato, derivato dalla svolta epistemologica di Cartesio, Hobbes, e poi Bentham, abbia resistito sino ad oggi, nonostante le sue incoerenze siano state già ampiamente messe in luce non solo in campo morale, ma anche e soprattutto in quello scientifico?
E infine, la riflessione etica è davvero separabile da un’indagine sulla natura dell’uomo come ritiene gran parte della filosofia morale contemporanea?
Nel suo tentativo di risposta a questi interrogativi, Charles Taylor, non ha dubbi nel riaffermare come i due piani del discorso: quello etico e antropologico si combinano tra loro fruttuosamente.
L’Uomo come sostanza essere che ha interesse, a cui le cose importano, agisce; ciò implica stabilire relazioni, riflettere su questi significati-interessi - senza staccare questa coscienza – fà apparire il senso morale. Per questo la colpa, la vergogna e le emozioni sono tipiche dell’uomo, e non si rinvengono nè nella cibernetica nè nel mondo animale.

 


1 Cfr. C. TAYLOR, Social Theory as practice, Oxford University Press, Delhi 1983, 48-67.
---------, Understanding and ethnocentricity, Cambridge University Press, Cambridge 1985, 91-133.

2 Vedi behaviorismo: tutto va spiegato in termini di stimolo/risposta, ma come puri impulsi del ricettore (Hull)

 

 

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