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Riflessioni di don Daniele Dal Prà sul Corpo nella Sacra Scrittura

 

 

INTRODUZIONE

Nella celebrazione liturgica della Pasqua, centro e culmine di tutta la liturgia cattolica, lo stesso Signore Gesù pronuncia queste solenni parole sul pane azzimo: questo è il mio corpo, identificando la sua stessa divinità in un corpo umano. Seppur nella terminologia ebraica, non vi è una parola specifica nella designazione del corpo, utilizzando termini interscambiabili, ritroviamo all’interno dell’ambiente biblico il rimando ad una relazione.
Già dal Libro del Genesi, Adamo se ne fa interprete nel suo grido di gioia, davanti alla relazione che può stipulare con Eva, differente da ogni legame che poteva intrattenere con la creazione stessa. In questo contesto, il corpo è percepito come direttamente creato da Dio, dal tardemah nel quale era caduto adam vediamo il risvegliarsi della communio personarum (1): ’ish-’ishshah; la Persona umana come intentium orientata alla communio, comincia a capire che essa è uguale e simile a Dio, ma in una grande differenza.
Lo stesso Giovanni Paolo II, ricorda come il primo uomo-maschio, di fronte all’uomo-femmina, sembri dire ecco un corpo che esprime la Persona (2). Un’antica tradizione rabbinica interpreta le due lettere del termine ’ishshah, come un’abbreviazione del nome di Dio, a significare che ciò che è iscritto nella differenza sessuale è proprio il nome di Dio. Questo risalire alle fondamenta creaturali dell’uomo e della donna, rivelano un disegno non solo radicato nella Sacra Scrittura, ma anche una realtà invisibile impressa nel cuore e nella corporeità umana, che si rende visibile attraverso l’esperienza dell’amore.

 

ANTICO TESTAMENTO

Adamo esprime con la parola questo stupore: questa sì che è carne della mia carne e ossa delle mie ossa (3), scoprendosi in questa donazione reciproca, entrambi dati l’Uno all’Altro come dono. Appare però anche il senso di debolezza della corporeità, una debolezza che scaturisce dal peccato di concupiscenza in cui l’uomo sostituendosi a Dio, vuole lui stesso definire il bene e il male. È debolezza che si specifica anche attraverso l’origine e la fine rappresentata dal termine polvere, ove adesso la malattia e la morte ne segnano il confine, come frutto del peccato dell’umanità.
Il corpo è segnato da una maledizione, la morte più che l’assenza di vita, vuole mettere in risalto il non poter ascoltare Dio, l’essere da Lui dimenticato. Una morte ontologica che nel rompere il rapporto con il Creatore, chiude la relazione con l’Altro. Basar, indica questo carattere debole dell’umanità, in netto contrasto con la natura divina, designando la carne nel senso materiale, nel suo appartenere alla specie umana, luogo dei sentimenti e dell’unità corporale, nel suo contenuto grammaticale di pronome personale Io.
Il corpo, però, è anche il vestito regale che Dio fa all’uomo nel profondo della terra, nella sua idea di sovrapposizione al grembo materno. Nell’AT il corpo, quindi, ha più accezioni, e suddivide la vita psichica-spirituale con gli organi interni, che non si vedono, dagli organi esterni che designano l’attività che essi esercitano. Perdendo il significato epifanico del corpo, si ha il rifiuto del pudore, divenendo la propria nudità elemento vulnerabile.
Da questa ferita primordiale la Scrittura n'evidenzia appunto le conseguenze negli elementi del giardino, della generazione, e nell’intimo rapporto uomo-donna. In più circostanze, come per esempio nel Cantico dei Cantici, la restaurazione dell’alleanza si rivive con il corpo umano, utilizzando il verbo amare per passare da un amore intimo a quello più universale. Nel Cantico, l’amato guardando l’amata rilegge il suo corpo con una lettura trasfigurata dall’amore, nella quale dimensione, rileggono il mondo, in maniera completamente opposto alla frattura elencata nel testo del Genesi (4).
Le stesse leggi della purificazione o il giorno dello Yom Kippur dicono come la purezza abbia a che fare con la preghiera, e le leggi di consacrazione, altro non sono che un prolungamento di queste, in ambito cultuale, affermando l’identità di Israele.
Il corpo parlando un linguaggio mostra così, anche attraverso la circoncisione una specifica consacrazione: Dio che è fedele alle promesse, chiama ad avere un autentico rapporto con Lui. Nel Siracide  (5) la vita, descritta in termini di discendenza di un Israele restaurato politicamente, mostra una progressione esplicita verso quello che nel NT diventerà il segno della risurrezione.


NUOVO TESTAMENTO

Nel NT il corpo non è visto in ottica negativa, anche se segnato dalle conseguenze del peccato, e sarà questa dimensione creata dell’uomo - sarx - a designarne la dimensione opposta a Dio, che nel contesto evangelico e paolino, ne osserviamo rovesciata la prospettiva.
Il corpo malato, o posseduto da spiriti immondi, ma anche il peccato compiuto contro di esso come nell’adulterio, ed infine il corpo deposto nel sepolcro diviene espressione della manifestazione di Dio. L’uomo di fronte alla colpa è in Cristo, nell’attesa del perdono, e Gesù attraverso il corpo, rivela la sua identità.
La sua potenza espressa attraverso le guarigioni fisiche situandosi ad un primo livello epifanico, diviene prospettiva della sua opera redentiva di guarigione spirituale dalla morte ontologica; e la malattia non più legata al peccato personale, diviene attraverso la guarigione, annuncio profetico della salvezza.
Il lebbroso situato fuori dell’accampamento, il paralitico calato dal tetto, il muto guarito dal demonio, diventano aspetti che mostrano il legame tra esorcismi-guarigioni con la passione-morte dello stesso Salvatore.
Paolo sviluppa ed amplia questa dimensione di Gesù che si è fatto peccato per noi; se i sinottici annunciano la redenzione anche corporea con le guarigioni come prospettiva futura, Paolo ne dice le conseguenze della salvezza per la vita morale: l’uomo ha bisogno della grazia per conoscere la sua cecità, essere carnale significa essere creatura segnata dal peccato, per questo invita a camminare secondo lo Spirito.     L’uomo nuovo, non è liberazione dal corpo, ma salvezza, è la fine dell’uomo vecchio come un cambiamento morale nel suo senso pieno, di natura redenta. Il rapporto fra Cristo ed il corpo è indice che la corporeità è finalizzata, ad essere con il Signore, destinata ad entrare nel significato escatologico; la risurrezione di Cristo condiziona la nostra risurrezione stabilita fin dalla creazione del mondo, mostrando nella redenzione il compimento e la continuità della creazione stessa.


CONCLUSIONE

Paolo invita l’uomo a glorificare Dio con il corpo, perché Gesù avendo vinto la morte, ha mostrato nella risurrezione la prova della sua divinità.
Il corpo che appare risorto è materiale, indice che la morte non è più annientamento, ma passaggio alla vita nuova in continuità con quella terrena, totalmente rinnovata.
Il cambiamento del corpo prima e dopo la resurrezione è radicale, nel cielo c’è un tempio eterno, che non si distrugge come il corpo umano, e Gesù risorto come tempio è un tema che Paolo utilizza per dire che la vita cristiana è associata a quella di Cristo, fondando così la fede nella vita eterna (6).
Il corpo umano ha una profonda dignità, nel battesimo è stato immerso nella morte e risurrezione di Cristo e mangiando del suo corpo e bevendo il suo sangue, questa stessa realtà alla quale comunichiamo realizza in noi l’unità.
L’amore nella dimensione della croce e l’unità, divengono così segno di appartenenza alla comunità cristiana, ed in virtù di questa comunione, non è più lecito accostarsi al banchetto dell’idolatria.


1 Gen. 1,17

2 Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò, Città Nuova, Roma 20099, 75.

3 Gen. 2,23

4 Gen. 2-3

5 Sir. 12,8

6 2 Cor. 4,7-15

 

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